È MORTO GIORGIO ALBERTAZZI
Ci lascia l’ultimo grande attore della generazione del
dopoguerra
servizio di Andrea Fiorillo
Studente di architettura, dopo una piccola parte nello storico Troilo e Cressidra di Luchino Visconti, a Boboli, dal 1950 per due anni fece parte della compagnia del Teatro Nazionale diretta da Guido Salvini e il suo primo ruolo importante fu ne Il candeliere di de Musset.
Giorgio Albertazzi ci ha lasciati sabato mattina, 28 Maggio
2016. Da tempo ormai sofferente il "più grande attore italiano” di una generazione ormai finita, si è spento
all’età di 92 anni.
Nato a Fiesole il 20 agosto 1923, ha iniziato la sua carriera
solo nel dopoguerra, dopo aver aderito alla Repubblica di Salò nel 1943. Iniziativa, quest’ultima,
mai rinnegata e vista come gesto di un ragazzo ventenne patriottico che si
illude di una rivoluzione sociale, che tra l'altro nel '45 gli costò l'arresto
e una condanna per collaborazionismo.Studente di architettura, dopo una piccola parte nello storico Troilo e Cressidra di Luchino Visconti, a Boboli, dal 1950 per due anni fece parte della compagnia del Teatro Nazionale diretta da Guido Salvini e il suo primo ruolo importante fu ne Il candeliere di de Musset.
Ma fu nel 1956 che il suo astro cominciò a brillare nel teatro
italiano, da Il seduttore di Diego Fabbri, dove comincia a far coppia con Anna
Proclemer, anche sua compagna di vita, riuscendo per quasi un ventennio ad
essere entrambi tra i protagonisti della vita teatrale italiana. Spaziando tra
classici moderni ed autori contemporanei, da solo o con nuove compagne, non
smette mai di recitare ed è sempre stato visto come il più inquieto dei nostri
attori: "energia pura traversata da forze devianti che si riconnettono a
una certa qualità sciamanica - ha scritto Davico Bonino - Ha la
vocazione della fenice. Ne deriva una specie di felicità elettrica che costringe questo attore
difficilmente catalogabile a spendersi in continuazione" tra progetti
irrealizzati, le grandi creazioni drammatiche, gli spettacoli sbagliati,
provocazioni contro ogni convenzione e routine.
A chi gli chiedeva se fosse credente, replicava: "Detesto
pensare che qualcuno da su ci consoli o ci punisca. Le mie consolazioni sono i
miei ricordi". Ricordi legati a una vita passata a recitare sapendo che
"recitare è un atto ridicolo, è mettersi alla berlina, non sapendo fare
altro, uno si mette a buffoneggiare o finge di sentirsi male, di provar dolore
o di essere in preda a un fou rire. E mentre agisce vede se stesso agire e
questo gli dà insieme conforto e sgomento, perchè l'arte è nuda
e capace solo di far domande, cui non risponde".
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