“Il Contratto” di Eduardo de Filippo, regia di Pino Carbone

Servizio di Francesco Gaudiosi

Napoli - Eduardo, quando messo in scena, vuoi per complessità drammaturgica vuoi per necessità registiche, esige sempre degli allestimenti che si allontanino dai parametri della messinscena originale; richiedendo di conseguenza ciascuna rappresentazione un distacco ed una complementarità con il testo originario. E quello che si vede nell’allestimento di Pino Carbone ha tutta l’aria di avere proprio a che fare con una visione del testo eduardiano che attendevamo da tanto, forse troppo, tempo. Per anni il teatro di Eduardo è stato concepito come teatro di intrattenimento, e anche di riflessione, sì, ma sostanzialmente e formalmente attestato su un livello di pensosa ironia, e mai di profondo sarcasmo, trascurando così il vero piglio drammatico dell’autore che rendeva ognuna delle sue opere un capolavoro del pensiero umano sulle smanie di possesso, di invidia, di odio verso il proprio simile. Il Contratto è in tale logica uno dei testi ove tutto questo è più chiaro, trattando di finte resurrezioni e parlando di una “catena d’amore” dietro la quale in realtà si cela una catena di interessi, di avidità, di ricerca spasmodica del danaro.
Ragionando in questi termini appare chiaro come la commedia (anche se ci sono tutti i presupposti per definirla tragedia) si presenti come un testo dove allo spettatore sta il compito non solo di osservare l’azione scenica, bensì anche quello di immaginare tutto ciò che avviene sul piano meta teatrale, nel non detto di una realtà parallela alla finzione del palcoscenico. Il Contratto mescola temi molto cari ad Eduardo, nella fattispecie soprattutto motivi propri de La grande magia e Il sindaco del Rione Sanità sembrano essere molto presenti.  A questi si aggiungono,  visioni pessimistiche e senza possibilità di redenzione per l’umanità  propri dell’ultima fase di produzione eduardiana.
Nello spettacolo in questione, che vede un ottimo Claudio Di Palma nelle vesti dell’impostore Geronta Sebezio, si mettono in scena i drammi e le meschinità dei personaggi con una vaga atmosfera circense, con una pedana centrale girevole intorno alla quale il perfido Geronta tesse la tela dei suoi interessi, comportandosi come domatore di bestie in un circo dove ogni animale cerca il suo tornaconto. In scena con Di Palma, uno straordinario cast di attori come Carmine Paternoster, Fabio Rossi, Andrea de Goyzueta, Giovanni del Monte, Francesca De Nicolais ed Anna Carla Broegg. In una struttura che viene concepita come formata da tre corpi autonomi: di indagine sull’individuo (I atto), sugli affetti (II atto), sulla società (III atto). Una regia che esalta la solitudine dei personaggi che, pur convivendo nella realtà “immaginaria” così come nello spazio scenico, sono monadi di pensieri, perduti nei loro profitti e nelle loro logiche egoistiche. Un’atmosfera sostanzialmente surrealista, in bilico tra l’immaginazione del vero e la rappresentazione di esso attraverso il proprio inconscio, anche grazie alle magnifiche scene di Luciano di Rosa ed ai costumi di Selvaggia Filippini, paradossali, talvolta grotteschi ma assolutamente aderenti all’ideazione registica.
Lo spettacolo, Vincitore del premio Landieri come miglior spettacolo dell’anno 2014, apre la stagione del Piccolo Bellini e sarà in scena fino al primo novembre.

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