Le Re(l)azioni di Neil LaBute alla “Sala Assoli” di Napoli


Per la regia di Marcello Cotugno, con Bianca Nappi: femminilità tra l’ironico, il grottesco e il dramma
Servizio di Vincenzo Perfetti

Napoli - Il regista Marcello Cotugno, in collaborazione con Gianluca Ficca, dopo “Bash” (2001) e “La Forma delle cose” (2005), riporta al pubblico uno dei lavori del regista e drammaturgo statunitense Neil LaBute: “Re(l)azioni”. Un unico atto nel quale convergono tre monologhi al femminile interpretate dall’attrice Bianca Nappi, nota per collaborazioni cinematografiche nei film di Ferzan Ozpetek, quali “Un giorno perfetto” (2008), “Mine vaganti” (2010), “Magnifica presenza”(2012). Location scelta per l’occasione partenopea è la “Sala Assoli”, nell’accoglienza dei Quartieri Spagnoli. La programmazione della Fondazione Salerno Contemporanea resterà in scena sino a domenica 16 (replica prevista per le ore 18). Tre, dunque, i monologhi: “Totally”, “Bad Girl”, “War on Terror”. Il primo vede la protagonista seduta ad un tavolino, rivolta verso il pubblico, intenta ad interloquire con un’ipotetica amica. L’atmosfera presentata si dipana tra il grottesco e l’ironico: scoperto il tradimento del fidanzato (una stessa collana regalata ad entrambe) mentre aspetta un figlio da lui, sceglie di attuare nei suoi confronti una spietata vendetta: venuta in possesso della rubrica del proprio partner, decide di concedersi a tutti i suoi amici. Ironia della sorte vuole che si sia concessa al medesimo partner di chi le sta facendo compagnia in quel momento. Un’azione, che divenendo appunto reazione, al suo “sentirsi morta”, è decisa a “rischiare la felicità” consapevole del fatto che “la vendetta è una troia”. Forse, solo la nascita del piccolo potrebbe fungere da catarsi e purificare entrambi. Così, LaBute presenta il superficiale legame che sottende il rapporto uomo/donna: istinto primordiale, un appetito leopardiano rivolto ad un processo di creazione e distruzione. Istinto primordiale che Cotugno ben riqualifica ponendo una maggiore marcatura anche al linguaggio scelto. Difatti, il legame che unisce rabbia/istinto/sesso allo stato d’animo è la scelta di un forte accento dialettale, ben reso dall’attrice di origine pugliese. Il monologo centrale è “Bad Girl”. La scena si sposta: non più un tavolo, ma una lunga telefonata dinanzi ad uno specchio del suo camerino. Scelta che anticipa l’idea di teatro nel tetro che raggiungerà l’apice con l’ultimo monologo. Qui, l’attrice, molto più compita, dispensa consigli ad un’amica abbandonata dal fidanzato. Le sue parole di conforto si concentrano sull’invito a seguire l’idea di un sesso facile, leggero, nichilisticamente portato avanti e consumato con “sfigati” incontrati in luoghi pubblici: lavanderie, Blockbuster. LaBute porta in scena in questo modo la volontà di una donna che riconosce il proprio potere femminile, quasi uno status, nel dominio sessuale, attuabile solo con persone che, probabilmente, soffrono maggiormente la realtà che li circonda. Il terzo e ultimo monologo “War on Terror” (titolo che riprende l’omonimo videogioco di guerra) è quello più intenso, provocatorio: teatro nel teatro, critico verso borghesie e scelte di ragion di stato. La scena questa volta è un divano, posto al centro, coperto dalla bandiera americana, lei seduta e tra le mani il berretto del suo compagno morto in Iraq. Bianca Nappi si lancia dapprima in una spietata invettiva al mondo islamico, con argomentazioni spicciole da piccola borghese: gli iracheni sono “gay”, ”gente perversa”, “malvagia”. Spinta solo dal dolore della perdita. Un’interpretazione che diviene un crescendo con il teatro nel teatro. L’attrice si mostra disturbata nella sua performance a causa di un presunto “stalker” che siede tra il pubblico. Gli si risvolge contro con offese, provocazioni fino a lanciarglisi contro in un atto di disperazione. La violenza è il tema centrale dei tre monologhi, intesa come “manipolazione” di una realtà soggettiva e come “reazione” ad un torto subito. LaBute, ironico e pungente, risponde alla violenza con maggiore violenza. «La scelta di rappresentare tre monologhi di Neil LaBute – spiega Cotugno – è nata dal desiderio di investigare la violenza nel suo aspetto più banale e brutale, così come si cela dietro la superficie di ciascuno di noi, affondando le proprie radici anche nel più normalizzato e tranquillizzante humus sociale». Re(l)azioni diviene teatro ridotto all’essenziale, dalla natura elementare: in scena pochi oggetti e proiezioni, ossia, brandelli mediati dalla cultura del virtuale come “visioni provocatorie disturbate e disturbanti” (la prima scena si apre con scene 3D riguardanti il parto, l’ultima presenta prima il noto videogioco che da il nome al monologo, mentre poi durante il recitato vi sono piccoli stacchi di sintetizzatori che corrispondono a “attacchi epilettici” della protagonista). Afferma Marcello Cotugno: «Esiste una complessa relazione tra il nostro Io quotidiano e quello non rivelato nei pensieri taciuti, nei gesti nascosti, segreti, nelle doppie vite o nei desideri inespressi, che ci avvicina ai personaggi di LaBute, rendendoceli prossimi nella loro complessa ambiguità. Un’attitudine alla virtualità delle esistenze» il cui unico obiettivo è una ricerca, una creazione, assidua e forzata di un “io alternativo” che funga da catalizzatore di una “vita ideale”. Pubblico soddisfatto dall’interpretazione dell’attrice, alla quale non ha risparmiato risate e applausi.

 
15 febbraio 2014                                                                             
 
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