“Gli innamorati” – di Carlo Goldoni – drammaturgia di Vitaliano Trevisan - regia di Andrée Ruth Shammah
Al
teatro Mercadante di Napoli dal 3 all’8 maggio
Servizio
di Francesca Myriam Chiatto
Napoli – Dirige il Teatro
Franco Parenti di Milano e firma l’allestimento di testi di autori
contemporanei come Tarantino, Cavosi, Trevisan, Sgorbani: è Andrée Ruth
Shammah, la regista de “Gli Innamorati”. Le scene e i costumi sono di Gian
Maurizio Fercioni, le musiche di Michele Tadini, le luci di Gigi Saccomandi e
la produzione dello stesso Teatro Franco Parenti. Tratto da una commedia di
Goldoni del 1759 e qui nella trasposizione drammaturgica di Vitaliano Trevisan,
questo capolavoro di comicità che indaga, però, l’assurdità insita nell’esasperazione,
quasi paranoica, dei sentimenti amorosi, e che sarà sul palco del teatro
Mercadante dal 3 all’8 maggio, risulta, per la sua modernità, estremamente
coinvolgente anche per lo spettatore contemporaneo. Eugenia (una Marina Rocco
di rara vivacità e disarmante bravura) e Fulgenzio (un Matteo De Blasio, dalla
personalità forte e vitale) sono due innamorati che vivono la loro passione
senza ostacoli eppure sono infelici. O meglio, si creano problemi che non ci
sono, gelosie inutili, sono sdegnati, puntigliosi, insicuri di loro stessi e
del loro amore e non riescono a trovare un accordo di pace. Si allontanano, ma
stanno male per la mancanza; si ritrovano e stanno male per i litigi. Le urla,
gli strilli e la voglia di averla vinta, l’orgoglio e la sensazione che quello
che hanno non gli basti o “gli basti troppo”. L’intreccio messo insieme da
Goldoni più di 250 anni fa è, come si vede, più che mai attuale e molti si
possono rispecchiare negli atteggiamenti dei personaggi e nelle contraddizioni
di chi per amare troppo si tormenta per questo stesso amore e finisce per
perdere la persona amata a causa di ostacoli soltanto immaginati e di inutili e
infondate paure. Se al posto del “voi” che si usava nel ‘700, mettessimo un più
informale “tu” dei giorni nostri, questa storia potrebbe vedere protagonisti
molti di noi. E forse è proprio per questo che, nella riscrittura di Vitaliano
Trevisan, Carlo Goldoni è anch’egli sul palco (i suoi panni li veste Alberto
Mancioppi), un po’ se stesso e un po’ personaggio della commedia. E alla fine egli
conclude dicendo più o meno così: “E’ una commedia e, come tale, male non può
finire o almeno così sembra”. Come
diceva una canzone che pare scritta apposta: “E per amarci troppo adesso non ci
amiamo più”.
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