LE BRACI dall’opera di Sándor Márai, regia di Laura Angiulli adattamento di Fulvio Calise
Al Teatro Nuovo dal 23 al 27 ottobre 2019
Servizio di Rita Felerico
Napoli - “L’uomo comprende il mondo un po’ alla volta e poi muore”, parola di Henrik, uno dei due protagonisti de “Le
Braci “, spettacolo tratto dal romanzo di Sándor
Márai Le braci. Le candele bruciano
fino in fondo, del 1942,
andato in scena al Teatro Nuovo sulla scia di un indovinato adattamento di
Fulvio Calise e dell’ attenta regia di Laura Angiulli. L’azione si dispiega in una
ambientazione minimalista, un dialogo che inizia e termina in uno spazio /
stanza arredata - si può dire – essenzialmente dalle luci che disegnano insieme
all’espressività di Henrik e Konrad gli unici elementi di arredo, presenze
centrali del confronto fra i due: tre sedie. Simbolicamente i due occupano
alternandosi le due sedie poste lateralmente, che di volta in volta designano la ‘posizione’ assunta dai due
uomini, la centrale - mai occupata - determina come una mediazione, una
riflessione.
Appoggiandosi alle sedie,
come anziani in cerca di punti di appiglio, Henrik e Konrad rafforzano il
valore di un incontro che, dopo quaranta anni, se non ha smorzato la passione e
la fede nei valori di sempre, registra tutta la melanconica decadenza che
pervade le loro vite e quella di una società sopravvissuta alla guerra, nella quale sono immersi o meglio gettati
a vivere. Si intuisce come una cappa l’attesa che ha preceduto l’incontro, la
tensione che ha alimentato i discorsi immaginati prima del ‘faccia a faccia’; ma se si volevano sciogliere dubbi, nodi di
pensiero non era questo il momento, divenuto piuttosto una razionale lettura di
ciò che è e di ciò che forse non giungerà mai. Aleggia - per dirlo e confermarlo - l’ombra di
una terza protagonista, che non si svelerà mai, una donna, Krisztina, amata forse da entrambi, divenuta
moglie di uno dei due, morta dopo la partenza di chi – fra i due - ha dovuto
rinunciare al suo amore.
L’incontro rilascia le emozioni represse, non risolve
nulla, non chiarisce: Renato Carpentieri – Henrik – uscirà dalla stanza
chiudendo la porta con determinazione e freddo distacco, l’amico non risponderà
a nessuna delle sue domande, vuole trattenerlo? Domanda senza risposta. Ma lo
scopo del loro dialogo non è quello di dare risposte a dubbi, ma quello di
constatare la mancanza di sentimenti, dell’amicizia stessa che li ha uniti e li
unisce loro malgrado, del vivere la
differenza insuperabile che li divide, visibile anche nell’abbigliamento: uno è
in frac, l’altro in abiti più moderni. Fa da sfondo alla loro confessione al
pubblico una stufa nella quale Henrik getterà il diario segreto della moglie;
braci di una storia, ceneri di una vita, di un desiderio di umanità, quella che
si va spegnendo, dopo che la guerra ha per sempre inferto ferite che non si
rimargineranno mai. Il romanzo di Márai ci
parla di tutto questo con un accento che precorre la disumanizzazione
dell’oggi; una certa letteratura, un certo pensiero dello scorso secolo aveva
intuito e ragionato su queste ‘morti’, prima ancora che le braci potessero tramutarsi in cenere. Del senso che lo scrittore ungherese ha voluto trasmetterci,
Carpentieri e Jotti ne colgono tutta la forza e ne trasmettono tutta l’efficacia,
grazie ad un testo essenziale, che ne sintetizza la drammaticità. Bello si
ribadisce il gioco di luci e il discreto
ma intenso commento musicale.
LE BRACI dall’opera di Sándor Márai
adattamento Fulvio Calise
drammaturgia e regia Laura Angiulli
con Renato
Carpentieri e Stefano Jotti
scene Rosario
Squillace
disegno luci Cesare Accetta
illuminotecnica Lucio Sabatino
aiuto regia Serena Sansoni realizzazione
scene Alovisi Attrezzeria
©
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