“ELVIRA“ da Elvire Jouvet 40 di Brigitte Jacques - diretto e interpretato da Toni Servillo – traduzione Giuseppe Montesano
al Teatro
Bellini di Napoli dal 24 gennaio al 12
febbraio
servizio
di
Rita Felerico
Napoli - Un incontro con il teatro, con Louis
Jouvet, “Dopo anni in cui le sue riflessioni sul teatro e sul lavoro
dell’attore mi hanno fatto compagnia”, dichiara Toni Servillo dopo il
successo di critica e di pubblico riscontrato al Piccolo di Milano e
all’Athéneé Théatre Louis Jouvet di Parigi. E spiega ancora: “Elvira porta
gli spettatori all’interno di un teatro chiuso, quasi a spiare tra platea e
proscenio, con un maestro e un’allieva impegnati nel particolare momento di una
vera e propria fenomenologia della creazione del personaggio. Trovo il
complesso delle riflessioni di Jouvet particolarmente valido oggi, per
significare soprattutto ai giovani la nobiltà del mestiere di recitare, che
rischia di essere svilito in questi tempi confusi”.
L’irruzione della violenza del potere filtrata dalle
parole urlate dal dittatore nazista alla fine della rappresentazione compatta,
insieme alla frase luminosa impressa sullo sfondo nero della parete del
palcoscenico mai abitato, tutto il senso di questa bellissima teatralità che è Elvira.
Perché le parole che spiccano alla luce del neon, ci dicono che la meritevole e
bravissima Claudia, allieva dell’Accademia di recitazione diretta dal Maestro
Jouvet, pur essendo risultata la migliore e la più meritevole, dopo avere
superato i difficili esami di ammissione non potrà mai frequentare l’Accademia,
né mai calcherà le scene, perché ebrea e Louis, il Maestro, in volontario
esilio tornerà in patria solo a guerra finita.
Non è solo una lezione di teatro quella che Louis –
uno splendido Servillo – impartisce a Claudia (interpretata dalla giovanissima
e bravissima Petra Valentini ). Le sette lezioni di Jouvet dalle quali la
regista e drammaturga francese Brigitte Jacques aveva già ideato un testo,
ovvero la scena del monologo di Donna Elvira tratta dalle pagine del quarto
atto del Don Giovanni di Molière,
è emblematica di una situazione: la protagonista va incontro al suo antico
amante – Octave/Don Giovanni, i cui panni qui indossa Francesco Marino - ancora
quasi inconsapevolmente innamorata, per avvertirlo e proteggerlo dal pericolo.
La ripetizione dell’azione teatrale volta a
‘rendere perfetta l’interpretazione’, apertamente e ripetutamente recitata con
una precisa scansione temporale, è motivata di volta in volta dalle parole che
il Maestro rivolge all’allieva, tanto forti nello scavare le coscienze da
immetterle in una rete di riflessioni che abbracciano non solo la ‘correzione ‘
delle parole stesse, del loro tono, della loro intensità ed estensione vocale e
ritmica – come si conviene durante una lezione di recitazione – ma in una più
ampia analisi delle implicazioni che determinano le scelte della vita.
Il Maestro parla di emozione, della capacità di
coinvolgimento che una interprete/attrice deve possedere nei confronti del
pubblico, del modo in cui Elvira deve andare incontro al suo amante, del ritmo
dei passi perché tutto cambia se si compiono veloci o lenti, cambia l’approccio
con il testo, con la stessa emozionalità, con il sentimento che deve
trasparire, perché è questo che rivela anche il modo di affrontare la realtà.
Non sono quindi ‘lezioni’ che possono apprezzare
solo gli addetti ai lavori; il pubblico che ha socchiuso gli occhi, che è
andato via senza vedere la fine, non ha colto l’intento che ha mosso il mettere
in scena una ‘lezione di teatro’; non è solo lo svelare la fatica che esiste
dietro ogni gesto attoriale, dietro il risultato della musicalità delle voci e
di quanto sia labile il significato di tutto un testo se appena si sposta di
poco l’intensità anche delle pause.
Ma non è questa la rappresentazione dell’affannato
rincorrere nella nostra vita di un ‘senso’? Dare senso alla vita. Ecco perché
le parole finali determinano e inquadrano la logica della messa in scena. 1940,
il fallimento di ogni dignità umana, uno schiaffo alla libertà di pensiero,
alla creatività che muta e devia il corso delle ‘cose’, degli avvenimenti;
spariscono gli ideali e si abbattono i limiti di ogni ragionevole, umano
sentimento. Di lì a poco sarà lasciato
libero campo agli orrori più biechi, alla più perversa espressione del male.
Il Maestro Servillo scuote attraverso Elvira il
nostro orgoglio di uomini; le stesse sue mani sembrano cercare affannose nel
vuoto spaziale che circonda le sue parole un appiglio alla ragionevolezza, alla
conoscenza.
Incisa,
scolpita, la descrizione che ci rende del sentimento, dell’emozione, paragonata
alla forza dell’acqua che irrompe, invade, copre, scivolando sulle cose, non
cancellando, ma andando dritta all’obiettivo. Magnetico quel camminare sul
proscenio in cerca di altre visuali, inquietante quel palcoscenico di prove
dove non sarà mai recitata la ‘vera’ scena, nonostante le annotazioni di un
attento Sganarello (fatto rivivere da Davide Cirri ).
Calcheremo mai le assi del palcoscenico della
nostra vita non solo come figuranti ma come protagonisti? Possediamo ancora
quelle armi improprie (le tecniche) per lottare e combattere tutto ciò che
ostacola un dialogo il più possibile libero da pregiudizi? Sappiamo ancora
tramandare conoscenza ed esperienza alle generazioni?
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Commenti
Posta un commento