“MISERIA E NOBILTA’ ” di Eduardo Scarpetta regia Arturo Cirillo
Al
Teatro San Ferdinando di Napoli dal 21 dicembre al 8 gennaio 2017
Napoli – Al
teatro San Ferdinando di Napoli una pregevole versione di “Miseria e nobiltà” di
Eduardo Scarpetta ad opera del regista Arturo Cirillo entusiasma il pubblico e convince
la critica più esigente. Il regista infatti ha messo in scena una sua rilettura
della commedia che rispettando il testo “scarpettiano”, prende le distanze da comicità
troppo spicciole e non si presta ai facili confronti, ribadendo così quella originalità
che rende le sue realizzazioni piuttosto uniche. In una intervista concessa quando
ancora si svolgevano le prove dello spettacolo, cosciente del rischio del facile
confronto con illustri predecessori (volutamente ignorati), Arturo Cirillo ci aveva
anticipato non senza qualche timore, le sue nuove ideazioni e gli adattamenti
ancora in fase di progettazione per la nuova realizzazione.
Non ci ha quindi sorpreso il “Peppeniello” quindicenne che ha aggiunto alla commozione l’energia della sua età, un ”Semmolone” con toni e movenze più eccentriche e un maggiore ruolo di raccordo, un rigido rispetto del copione e del “linguaggio scarpettiano” che riscopre il tono di classicità originale del lavoro, una marcata differenza fra un primo atto tutto povertà, con scena misera ed essenziale, ed un secondo atto (sapientemente non spezzati da intervallo) tutta opulenza, in cui al centro della scena, regna incontrastata una enorme cucina fumante, quella di Semmolone, meta ambita dalla fame dei finti nobili e simbolo del potere economico di una borghesia ignorante che si andava affermando. Né ci ha sorpreso l’effetto al rallenty dei movimenti degli attori nel passaggio dal primo al secondo atto e nel ritorno alla condizione di povertà iniziale dei protagonisti guidati da una voce fuori campo, infatti il regista ci aveva anticipato l’intenzione di voler calare la vicenda in un’atmosfera di sogno dove anche il travestimento dei nobili scaturisse con una certa spontaneità.
Una scenografia con aggiunte e sottrazioni per creare salotti e giardini, quella concepita da Dario Gessati. Va sottolineato l’indubbio lavoro di immedesimazione effettuato da parte di tutto il cast che ha ben meritato questo successo: Milvia Marigliano in una convincente Luisella, Sabrina Scuccimarra in una collerosa Concetta, Tonino Taiuti e Giovanni Ludeno in completa sintonia nei ruoli di Felice e Pasquale, Arturo Cirillo in un Gaetano Semmolone gradevole ed innovativo, Valentina Curatoli in Gemma, Rosario Giglio in Ottavio Favetti, Christian Giroso in Eugenio, Gino De Luca in Luigino e Vincenzo, Giorgia Coco in Bettina, Roberto Capasso in Biase, Emanuele D’Errico allievo della Scuola di Teatro dello Stabile, in un sorprendente Peppeniello e Viviana Cangiano una Pupella di “spessore” con fame atavica. Di Gianluca Falaschi sono i costumi, di Mario Loprevite le luci e di Francesco De Melis le musiche. Non ci intratterremo sul racconto che è forse fin troppo conosciuto, ma vogliamo evidenziare piuttosto che la prevalenza di pubblico giovane entusiasta della rappresentazione, forse inconsapevole delle innovazioni apportate, denota quanto la commedia sia stata gradita così come realizzata.
Non ci ha quindi sorpreso il “Peppeniello” quindicenne che ha aggiunto alla commozione l’energia della sua età, un ”Semmolone” con toni e movenze più eccentriche e un maggiore ruolo di raccordo, un rigido rispetto del copione e del “linguaggio scarpettiano” che riscopre il tono di classicità originale del lavoro, una marcata differenza fra un primo atto tutto povertà, con scena misera ed essenziale, ed un secondo atto (sapientemente non spezzati da intervallo) tutta opulenza, in cui al centro della scena, regna incontrastata una enorme cucina fumante, quella di Semmolone, meta ambita dalla fame dei finti nobili e simbolo del potere economico di una borghesia ignorante che si andava affermando. Né ci ha sorpreso l’effetto al rallenty dei movimenti degli attori nel passaggio dal primo al secondo atto e nel ritorno alla condizione di povertà iniziale dei protagonisti guidati da una voce fuori campo, infatti il regista ci aveva anticipato l’intenzione di voler calare la vicenda in un’atmosfera di sogno dove anche il travestimento dei nobili scaturisse con una certa spontaneità.
Una scenografia con aggiunte e sottrazioni per creare salotti e giardini, quella concepita da Dario Gessati. Va sottolineato l’indubbio lavoro di immedesimazione effettuato da parte di tutto il cast che ha ben meritato questo successo: Milvia Marigliano in una convincente Luisella, Sabrina Scuccimarra in una collerosa Concetta, Tonino Taiuti e Giovanni Ludeno in completa sintonia nei ruoli di Felice e Pasquale, Arturo Cirillo in un Gaetano Semmolone gradevole ed innovativo, Valentina Curatoli in Gemma, Rosario Giglio in Ottavio Favetti, Christian Giroso in Eugenio, Gino De Luca in Luigino e Vincenzo, Giorgia Coco in Bettina, Roberto Capasso in Biase, Emanuele D’Errico allievo della Scuola di Teatro dello Stabile, in un sorprendente Peppeniello e Viviana Cangiano una Pupella di “spessore” con fame atavica. Di Gianluca Falaschi sono i costumi, di Mario Loprevite le luci e di Francesco De Melis le musiche. Non ci intratterremo sul racconto che è forse fin troppo conosciuto, ma vogliamo evidenziare piuttosto che la prevalenza di pubblico giovane entusiasta della rappresentazione, forse inconsapevole delle innovazioni apportate, denota quanto la commedia sia stata gradita così come realizzata.
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