“Cabaret, il musical” – regia di Saverio Marconi, traduzione di Michele Renzullo, con Giampiero Ingrassia
Al
teatro Augusteo di Napoli dal 9 al 18 dicembre
Servizio di Francesca
Myriam Chiatto
Napoli – Reso celebre
dal film omonimo del 1972, “Cabaret” diretto da Bob Fosse, che consacrò Liza Minnelli anche come stella
del cinema, questo musical, in cartellone al Teatro Augusteo dal 9 al 18 dicembre,
vuole essere una edizione rinnovata
rispetto alle tante rappresentazioni che negli anni si sono susseguite. Nella
Berlino degli anni ’30, sull’avvento del nazismo, si svolgono le vicende di uno
scrittore, Cliff Bradshaw (Alessandro Di Giulio), in cerca d’ispirazione per il
suo romanzo. Dalla sua stanza in fitto, gestita dalla rigorosa ed efficiente Fräulein Schneider
(Altea Russo), Cliff arriverà fino al turbolento ed affascinante “Kit Kat
Klub”, luogo di divertimento e trasgressione, in cui poter vedere numeri di
ogni genere, gestito dall’ambiguo maestro di cerimonie (Ingrassia), in qualche
modo sempre presente quasi a “guidare” e sorvegliare i suoi personaggi. Il mondo del “Cabaret” accomuna tutti i
frequentanti del Klub, ma, si sa, lo spettacolo di luci, paillettes, ballerine
sensuali e ragazzi muscolosi, nasconde sempre la tristezza o i desideri irrealizzati
di tante vite a volte perdute. Neanche il pericolo del regime nazista, che si
annida dietro l’angolo, è compreso fino in fondo e nessuno è in grado né ha
voglia di affrontare la realtà, per paura o per superficialità. “Non portate
qui con voi le preoccupazioni” ci dice all’inizio il maestro di cerimonie,
mentre la musica (Marco Iacomelli) e i balletti (Gillian Bruce), cominciano. E
così si mostra quello che sembra un mondo fatto di gioia, felicità e piacere
infinito, quasi una realtà a parte, di soldi più facili forse, cose non dette,
verità mostrate o celate, ma in fondo mai del tutto “vere”. Dunque, anche la
relazione “tempestosa” tra Cliff e Sally Bowles, “stellina” del cabaret (la
bravissima Giulia Ottonello, attrice, cantante e doppiatrice), non può avere un
lieto fine. Come d’altra parte non lo avrà il Cabaret, che lascia un po’
d’amaro in bocca, quando, sul finire, tutto il lusso e il luccichio sembrano
essere svaniti dietro la realtà della vita di fuori, molto più difficile e
fatta da sogni neanche espressi e ragazze nemmeno ventenni divise tra la loro
naturale e semplice giovinezza e l’ormai quasi obbligata frivolezza legata al
vortice dello spettacolo (quasi) senza fine. Graditissimo il ritorno di
Giampiero Ingrassia, dopo lo straordinario successo di “Frankenstein Junior” e
“Taxi a due piazze”. L’adattamento e la regia del testo sono di Saverio
Marconi, che lo ha voluto innovativo, pur conservando un impianto scenico
tradizionale. E a questo punto, salutati dal maestro di cerimonie, possiamo
solo chiederci: “la vita, è davvero un Cabaret?”.
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