AD OCCHI CHIUSI scritto e diretto da Luca Pizzurro, con Andrea Fiorillo
Al Teatro TRAM di Napoli dal 6 al 9 febbraio 2020
(foto di Sergio Siano)
Servizio di Pino Cotarelli
Napoli – Una visone scomoda
e scioccante, per una verità scottante dalla parte del “carnefice”, che la
morale collettiva rigetta con indignazione, facendo prevalere il disgusto per la
gravità dei fatti, sulla possibilità di una comprensione più approfondita delle
vicende. Un narrazione dell’orrore della pedofilia, che prova a far emergere
una visione distorta e distruttiva dell’amore malato di cui è vittima lo stesso
carnefice. Una difficile realtà dai toni forti, che i testi scritti dall’autore
e regista Luca Pizzarro, ricompongono sulla scena, nella loro durezza e tragica
realtà, dal racconto vero di un testimone che l’autore ha raccolto dieci anni fa,
approfondito da ricerche e colloqui con ragazzi vittime di abusi.
Una scelta
indovinata di Luca Pizzarro, quella di affidare il difficile ruolo alla bravura
di Andrea Fiorillo, attore di grande sensibilità, che è riuscito con la sua
abilità e una recitazione di ottimo livello, ad incollare gli spettatori alle
sedie, nonostante le forti sollecitazioni allo sdegno e al disgusto provocato dai
toni molto forti e provocanti dei fatti rappresentati. “Una scommessa difficile per
un lavoro complesso che è stato ben accolto a Napoli e che solo una attore
sensibile come Andrea Fiorillo poteva affrontare”, le parole di Luca Pizzarro,
intervenuto nei ringraziamenti alla fine della rappresentazione, dopo i lunghi
applausi tributati alla difficile prova dell’attore che ha dato ancora prova
della sua grande professionalità. “Ho avvertito il vostro imbarazzo e la
vostra indignazione….”, ha affermato Andra Fiorillo alla fine della sua intensa
e impegnativa prova, riconoscendo al pubblico la capacità di aver compreso il
suo sforzo nel rappresentare il duro racconto dai toni molto forti che solo alla fine riserverà una ulteriore ingombrante
rivelazione.
In “Ad occhi chiusi”
il carnefice rivive nei sui farneticanti ricordi, gli approcci, i momenti delicati dei baci rubati all’innocenza, la masturbazione
resa in maniera cruda; una crescente e allucinata descrizione in cui la vittima
appare fin troppo compartecipe, nella quale i ruoli quasi si invertono; lui è ormai
la vittima ed interpreta il terrore del bambino per incitamento, l’assenza di
proteste, il ritrarsi, il chiudere gli occhi per l’orrore, tutto come esclusivo
piacere. Trova la sua giustificazione
in quell’amore malsano e nella responsabilità del supporto materiale che
elargisce per le condizioni di necessità delle famiglie delle vittime. Il silenzio
complice invece non rappresenta altro che il loro segreto piacevolmente condiviso.
I conti però tornano sempre e il ragazzino che nel frattempo si confida con la
madre, gli procurerà l’ostilità di tutti, facendolo confinare in una stanza di
Roma da cui esce di rado e solo di nascosto. Si sente vittima di odio e disgusto,
di una discriminazione incomprensibile per la sua visione distorta dell’amore. L’uomo compare fin dall’inizio in una scena essenziale,
col suo aspetto rassicurante; si muove a proprio agio, sorseggia caffè appena
fatto, ascolta musica, legge un libro, guarda vecchie fotografie; appare insomma
come persona socievole e disponibile verso il prossimo. Sensibile persino al
maltrattamento di alcuni gattini. Tranne poi a far emergere le sue effettive
inclinazioni quando dalla sua finestra scorge un ragazzino che insegue un
pallone nel suo cortile in cui un gelido vento imperversa e prova ad offrire il
caldo rassicurante della sua stanza… Uno spettacolo che alla fine rivelerà una
verità scomoda.
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