“LA CUPA – fabbula di un omo che divinne un albero” versi, canti, drammaturgia e regia Mimmo Borrelli
Al Teatro San Ferdinando di Napoli,
dal 10 aprile al 6 maggio 2018
con Maurizio Azzurro, Dario Barbato, Mimmo Borrelli, Gaetano Colella, Veronica D’Elia, Renato De Simone, Gennaro Di Colandrea, Paolo Fabozzo, Marianna Fontana, Enzo Gaito, Geremia Longobardo, Stefano Miglio, Autilia Ranieri
scene Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozzi
musiche, ambientazioni sonore composte ed eseguite dal vivo da Antonio Della Ragione
disegno luci Cesare Accetta
produzione Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale
Servizio di Rita Felerico
Napoli - Si respira l’odore dello zolfo: esala
dalle gradazioni scure del grigio e del nero che disegnano la scena, gli ogetti
metallici, le maschere, i costumi e il palcoscenico aperto e deflorato da
quella impervia passerella che lega la realtà ad inimmaginabili azioni compiute
a deformare la naturalità della vita. Dal pianeta martoriato nei suoi colori,
ferito, incapace anche di tingersi di rosso per una presunta vergogna,incapace
di dare espressività alla violenza che ha intorpidito, ucciso qualsiasi umano
sentimento, salgono e si diffondono solo grida di dolore, urla laceranti,
versi, mugugni. Anche quando si narra, anche quando Mimmo Borrelli racconta
della sua terra e della terra con dolorosa angoscia, con una parola che diviene
ancora più scura, volutamente coltello che affonda in una carne che sembra ever
perso ogni segno di sensibilità. In
quella Cupa, discarica e mattatoio del mondo,ci siamo anche noi, colpevoli a
volte inconsapevoli, vittime meravigliate, circuite da spesse corde, le corde
dei marinai i quali ormai dall’acqua non riescono più a pescare pesci ma orridi
mostri, quelli che sopravvivono ad un passato di orrori, quelli che nascondiamo
per non riconoscere gli orrori. L’intrigo della storia sgancia il desiderio di
un padre ormai morto e sperduto,ditrutto,
irraggiungibile nella sua identià e forza; smorza e uccide una madre, la grande madre,
che più che accoglienza semina paura. E fa paura la voce della verità delle
cose continuamente soffocata.” La mia
famiglia è andata, il mondo che immaginavo non si è avverato. Unica rinascita,
unico esorcismo è nel rituale: affrontare i lutti prima del loro avverarsi”,
così scrive il regista. Parola e musica
si fondono così a ben dire, sono un tutt’uno con i movimenti, i tic, le
inflessioni dei protagonisti,la musica interagisce con loro: tamburi, aerofoni,
idiofoni e object troveè,canti per far sorgere dal silenzio quella che è stata
definita una tragedia contemporanea. Mimmo, il drammaturgo, ci invita- come
dice in una intervista – ad andare
dall’altra parte, dalla parte della Cupa, per spogliarci dei nostri
abiti/maschere che accecano la visione di noi e del reale. Le uniche maschere
da indossare sono quelle paurosissime di uccelli, anìmali preistorici che
popolano il nostro inconscio ma soprattutto la nostra vita. “ Il
cristiano è un animale senza scopo…..scappai alla ricerca dei miei anni….amore
è follia….la verità è come una cima di montagna, si sale su e si vede come
cambia…si lascia qualcosa di sé da qualche parte, poi si ritorna..il passato
torna…..è un canto di paura, vorrei tornare creatura…..la paura ti mette alla
prova…..questa è una epifania di dolore…..ma credo alla legge”. Ho messo
insieme senza una logica alcune delle frasi che mi hanno colpito; sembra un
discorso compiuto nonostante la forma irrazionale con la quale si sono scritte,
un pensiero cupo che apre allo spiraglio di una luce possibile. Dove? in quel ‘credere
alla legge’, in quel vagito che chiude la rappresentazione a testimoniare il
mistero e l’impossibilità di soffocare – nonostante tutto- la vita. Bravissimi tutti gli attori nella coralità
teatrale, nei movimenti, nella definizione caratteriale dei personaggi,
nell’esprimersi in un ostico linguaggio volutamente inquinato di allegorie, metafore, iperboli,dal lessico iconoclasta
intriso di un reiterato turpiloquio. I grandi oggetti di scena venendo
fuori dal caos dell’inconscio occupano sguardo ed emozione, sembrano muoversi come deus ex machina in antichi teatri di pietra, come oggi è ancora
il teatro di Mimmo Borrelli, uno spazio di libertà : “ l’unica assemblea democratica ancora possibile”.
con Maurizio Azzurro, Dario Barbato, Mimmo Borrelli, Gaetano Colella, Veronica D’Elia, Renato De Simone, Gennaro Di Colandrea, Paolo Fabozzo, Marianna Fontana, Enzo Gaito, Geremia Longobardo, Stefano Miglio, Autilia Ranieri
scene Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozzi
musiche, ambientazioni sonore composte ed eseguite dal vivo da Antonio Della Ragione
disegno luci Cesare Accetta
produzione Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale
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