“La Molière” scritto e diretto da Giuseppe Solazzo - con Marieva Jaime-Cort
Al Teatro Nuovo di Napoli il 15 e 16 giugno 2017
per il Napoli Teatro Festival
No, il modo migliore per rispettare uno spettatore è ignorarlo. Bisogna innalzare il gusto del pubblico a livello dell’arte non il contrario, come diceva Oscar Wilde. Credo che ci sia sempre ben poco da capire. Se si ascolta un brano di musica non ci si chiede qual è la storia, e così avviene se si osserva un paesaggio.
Napoli – Quando si assiste agli
spettacoli del regista Giuseppe Sollazzo non bisogna dare niente per scontato, e
il suo ultimo lavoro lo conferma; La Molière dato in prima nazionale al
Teatro Nuovo il 15 giugno scorso per il Napoli Teatro Festival, ha trovato il
consenso di un pubblico piacevolmente sorpreso da una rappresentazione in
lingua francese e sopratitoli in italiano, apprezzando la poliedrica
prestazione dell’unica attrice in scena, Marieva Jaime-Cortez, nel ruolo di
Armande Béjart moglie del grande commediografo Molière. Un personaggio molto
controverso, che ben si presta alle indagini retrospettive di un regista come
Giuseppe Sollazzo che con una operazione di destrutturazione/ristrutturazione
ha fuso contenuti storici e umani con gli aspetti leggendari, riproponendo in
chiave moderna ed anche a tratti comica, questo personaggio dalla fragilità
tutta femminile sospeso fra l’amore per Molière, l’amore per il teatro, ed i
suoi intrighi sentimentali legati ai fabbisogni della propria esistenza. Come è
noto Molière fu legato sentimentalmente a Madeleine Béjart, che per le dicerie
dell’epoca sarebbe stata la madre di Armande Bèjart; da qui le accuse di
presunto incesto che si alimentavano con l’invidia per la benevolenza del Re
per le commedie di Molière. Non mancavano le proteste di chi si sentiva
bersaglio delle rappresentazioni del commediografo che molto spesso riportava
sulle scene i caratteri e gli eccessi della sua epoca oggetto delle sue argute
osservazioni. In effetti la giovane Armande Bèjiart aveva calcato le tavole del
teatro già da ragazza nella compagnia di Madeleine Béjart e di Molière e quando
all’età di circa 20 anni diventò sua moglie, Molière gli affidò ruoli sempre
più impegnativi nelle commedie Critica della scuola delle mogli, L’improvvisazione
di Versailles ed arrivò anche a sostituire la madre in ruoli principali
nella commedia La principessa d’Elide e poi nelle opere portate in scena
dopo la morte del commediografo, dalla
sua compagnia al Palais-Royal: Alessandro il Grande di Racine,
Attila e Tito e Berenice.
Una prestazione di circa 90 minuti ininterrotti
quella della brava attrice Marieva Jaime-Cortez che, con scenografia essenziale
di Lili Kendaka, che contemplava un sipario trasparente e vari oggetti di scena,
si avvale anche di momenti coreografici e di una sicura gestualità fisica. Gli
elementi scenici sono di Francesco Davide, Renato Delehaye e Massimo Nota e le
luci complici e soffuse di Guido Levi, per una atmosfera in cui Marieva ha
evidenziato le mille facce della personalità della Bèjiart, coniugando la sua
particolare sensualità con quella del personaggio, con una intensità molto
coinvolgente. Nello sfondo la Comédie-Française alla
quale andarono sicuramente anche i contributi della Bèjiart e degli altri
attori cresciuti alla scuola di Molière.
Abbiamo posto all'autore e regista alcune
domande a proposito di questo spettacolo:
Sollazzo,
perché parlare oggi di Armande Béjart?
Ogni spettacolo è una
sfida, una scommessa fra vocazione e talento. Amare una cosa non
significa averla. Mi interrogo per capire che distanza c’è tra la mia passione
e il mio talento. Quindi la Bèjart è un pretesto per indagare i miei
limiti.
Indagine psicologica alla
maniera di Molière?
Non
ho una particolare propensione per l'indagine psicologica, mi fanno ridere
quelli che dicono: sono entrato nel personaggio così come potrebbero dire sono
entrato in un ascensore. Il personaggio lo si espone. E’ più che
sufficiente.
Incorniciare il personaggio in una
rappresentazione da Comédie-Française, in lingua francese e sottotitoli in
italiano con incursioni contestuali, a quale scopo?
Mi
sono ricordato di Cezanne che perdeva ore per sistemare le mele e le pere delle
sue nature morte, poi quando aveva finalmente trovato la composizione giusta,
decideva di dipingere la parte nascosta dell’inquadratura.
Racconto reale
e fantasioso allo stesso tempo, quale aspetto le appartiene
di più?
Fare
una regia per me significa pensare alla felicità dello spettatore. Fare in modo
che non si annoi, questo è il mio primo imperativo: non annoiare. Cerco
di accompagnare per mano lo spettatore in un labirinto, dandogli a volte
l’impressione di abbandonarlo, altre volte di lasciargli intravedere l’uscita.
Spettacoli non scontati i suoi che
sorprendono e fanno riflettere, potrebbero non arrivare facilmente a
tutti gli spettatori, non si preoccupa di questo?
No, il modo migliore per rispettare uno spettatore è ignorarlo. Bisogna innalzare il gusto del pubblico a livello dell’arte non il contrario, come diceva Oscar Wilde. Credo che ci sia sempre ben poco da capire. Se si ascolta un brano di musica non ci si chiede qual è la storia, e così avviene se si osserva un paesaggio.
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