QUANTO SPAZIO TRA DI NOI scritto e diretto da Eduardo Tartaglia

Al Teatro Sannazaro di Napoli dall’8 al 17 novembre

Servizio di Antonio Tedesco

Napoli - Napoletani nello spazio. O meglio, un pezzo di Napoli che viaggia attraverso le infinite galassie. Ma senza perdere niente del suo stile di vita, della sua turbolenta umanità. Quasi una “napoletanizzazione” di quello stesso spazio. Intorno a questa felice intuizione, “una commedia napoletana ambientata nel futuro”, si articola Quanto spazio tra di noi  il testo di Eduardo Tartaglia che ha debuttato venerdì 8 novembre al Teatro Sannazaro, con la regia dello stesso autore. Una commedia brillante e scoppiettante, com’è nello stile di Tartaglia, ma che non manca di un retrogusto amaro. Una commedia di fantascienza, la potremmo definire, ma che, come quasi sempre succede per il “genere”, ci proietta nel futuro per parlare di qui e oggi. In un mondo divenuto ormai quasi inabitabile si viaggia nello spazio, con il benestare di una razza superiore che ha preso a cuore le sorti dell’umanità, alla ricerca di un pianeta ospitale disposto ad accogliere i profughi della Terra. Ma l’impresa è tutt’altro che semplice, e l’accoglienza per niente scontata. Come di frequente accade nelle nostre cronache quotidiane, si rischia di rimanere per lungo tempo alla deriva in attesa di un permesso di sbarco o di un “porto sicuro” che non sempre è facile trovare. Così nel piccolo microcosmo costituito dal veicolo spaziale si riproduce l’eterna dinamica del mondo, la suddivisione delle classi sociali, la diversa gestione delle difficoltà in relazione ai mezzi disponibili per fronteggiarle, i privilegi, i bisogni da soddisfare, i compromessi da mettere in atto, i sacrifici da sostenere. Ma la Napoli che viaggia tra le stelle ha un suo preciso nume tutelare in Eduardo (De Filippo), che Tartaglia, più che citare, assume quale elemento simbolico di una cultura e del suo modo di approcciarsi alla vita, quasi una “atmosfera”, che, attraverso battute, situazioni e personaggi che trasversalmente lo richiamano, traccia le coordinate di un mondo e di un’umanità, immutabili nel loro modo di essere, di relazionarsi, di affrontare l’esistenza, con le loro piccolezze, meschinità, interessi, ma anche calore affettivo e slanci di generosità. Così, su quest’astronave perduta tra le stelle abbiamo il rito del caffè che si perpetua, il risveglio faticoso in una fredda mattina d’inverno, il contrabbando, quando i generi di prima necessità cominciano a scarseggiare, e tutto quanto, nel bene e nel male, accompagna le nostre esistenze quotidiane. Ma gli spunti di riflessione non escludono momenti di intensa comicità, situazioni buffe e paradossali che la dimensione “spaziale” rende ancor più marcate. Affidate soprattutto all’estro di una spumeggiante Veronica Mazza, protagonista con lo stesso Eduardo Tartaglia, con il quale forma una coppia alle prese con ordinari problemi di vita quotidiana (lui, in particolare, è un ex giornalaio che sta vivendo sulla propria pelle il triste declino della carta stampata) e del piccolo ma rappresentativo mondo che gira intorno a loro, un campione di umanità tenacemente attaccato ai propri principi, alle proprie abitudini e alle proprie condizioni che, nelle sue espressioni migliori, come in quelle meno edificanti, anche ad anni luce di distanza, rimane con i piedi ben piantati sulla terra. In scena con i due protagonisti, e con le musiche di Paolo Coletta, un gruppo di attori ben affiatati: Helen Tesfazghi, Ernesto Lama, Ivan Castiglione, Ernesto Mahieux e la piccola Amalia Tartaglia, al suo debutto sulle scene.


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