ACCABADORA drammaturgia Carlotta Corradi regia di Veronica Cruciani dal romanzo di Michela Murgia

Teatro NUOVO di Napoli dal 15 al 17 dicembre 2017


Servizio di Rita Felerico
 

Napoli - La nostra vita si accompagna sempre a suoni, a melodie, a canzoni che segnano gli avvenimenti tristi o gioiosi che abbiamo vissuto e alcune più di altre restano nel cuore, nella memoria, ritornando alla mente nei momenti che più coinvolgono il sentimento, aiutandoci a superare paure o emozioni troppo forti. Accabadora è stato per me l’ascolto di una armonia ancestrale, a cui da sottofondo come basso continuo non ha smesso di accompagnare la corda tesa di un violino alla Bach.  La bravissima Monica Piseddu, sola sul palco, è nel modulare il suono della voce, da cupa a discorsiva, da tagliente a sussurrata, che ha saputo trascinare gli spettatori o nelle profondità di un inconscio inesplorato e affiorante, primitivo e prepotente o nelle scie di inaspettate scelte di azione, dove lucidità e equilibrio sono necessari per il benessere esistenziale. Il monologo, un tempo omologato sull’esternazione patita dell’attrice, avrebbe potuto essere in alcuni punti più breve, meno ossessivo, per offrire maggiore respiro agli spettatori ed alla protagonista, visibilmente ‘provata’ alla fine della rappresentazione. Si narra infatti la storia di un rapporto d’amore, quello tra una madre e la figlia adottiva, un rapporto intenso segnato dai grandi temi della maternità e dell’eutanasia sulla chiave di un conflitto interiore che mette a confronto Maria – la protagonista – con se stessa, un dialogo interiore che scoppia nella sua tragicità nel momento della perdita.” Ho scelto questo romanzo – dice Virginia Cruciani, la regista – anche perché questa storia ci propone un modello alternativo di famiglia, dove la madre è quella adottiva; si propone un modello diverso di società, c’è un aspetto politico, che sempre evidenzio nelle storie che scelgo di mettere in scena”.  Una drammaturgia quella di Carlotta Corradiche è un lavoro di tessitura –dichiara Michela Murgia autrice del romanzo vincitore al premio Campiello del 2010 dal quale si trae il lavoro teatrale -  Carlotta utilizza tutte parole mie, ma in un modo che io non ho usato. C’è originalità e chiamarla riduzione non va bene: è un ampliamento”. L’Accabadora è Bonaria Urrai, madre adottiva di Maria,  che nel paesino immaginario della Sardegna dove si ambienta la scena aiuta le persone in fin di vita a morire, accabadora è parola con radici spagnole acabar, che significa finire, uccidere. Bello questo sodalizio femminile, bello il paragone fra Torino, città dove Maria era ‘fuggita’, e il paesino sardo di origine, giocato tutto sulla metafora delle strade che a Torino ‘si costruiscono prima dei  palazzi’; bella la metafora del vento che spoglia Maria e la veste di fiori nel mentre sviscera la sua verità di donna; e se alle bugie non c’è rimedio e se poi le cose devono accadere al momento giusto e accadono da sole , sarà  quando si accenderanno le luci che  gli spettatori nella solitudine e nel silenzio della loro realtà si confronteranno, con se stessi e gli altri.
scene e costumi  Barbara Bessi
luci Gianni Staropoli
suono Hubert Westkemper
video Lorenzo Letizia
produzione Compagnia Veronica Cruciani

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