“UNA CASA DI BAMBOLA” - Traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah

Al Teatro Bellini di Napoli dal 21 al 26 Febbraio
 
servizio di Andrea Fiorillo
 
 
Napoli - Torna a Napoli, ed ancora una volta al Teatro Bellini, l’attore Filippo Timi, protagonista insieme a Marina Rocca, della messinscena di Una Casa di Bambola, rilettura del testo di Ibsen, con la traduzione, l’adattamento e la regia di Andrée Ruth Shammah.
In scena dal 21 al 26 febbraio, il notissimo testo dell’autore norvegese, ruota intorno alla protagonista femminile, Nora, che appare, al principio, come una donna che si comporta al pari di una bambina capricciosa, che gioca e si diverte, fino a rifiutare i ruoli imposti dalla società tardo ottocentesca. Gramsci nel 1917 vedeva nella rivolta di Nora Helmer, incosciente e determinata, la possibilità di un’elevazione morale da parte della donna, immagine stessa di un processo rivoluzionario che stava modificando profondamente il sentire degli esseri umani. Dopo aver passato una vita intera in una casa dorata, costruita ad hoc perché immagine di una presunta felicità, la giovane Nora abbandona questo luogo che non sente più adeguato alle sue esigenze, per “entrare” nel mondo, e provare ad educare se stessa alla vita vera. Una donna che si fa essere libero ed indipendente, in un momento storico dove lo spirito rivoluzionario aleggiava prepotentemente, senza aver ancora trovato il modo per rendersi palese.
Questa è però solo una prima, ormai lontana, lettura di un testo che ancora oggi si rende attualissimo, perché è ormai da tempo che ci si chiede quanto, veramente, Nora sia prigioniera di questa realtà e quanto invece del suo atteggiamento sia mosso da un personale tornaconto, da una comodità che la “bambola” accetta perché cosi vuole che sia, perché cosi lei decide che debba essere.
Ed è questa la versione che sceglie la regista Shammah, una rilettura nella quale nulla viene dato per scontato, soprattutto la buona fede di Nora, che ci mostra completamente spogliata dei connotati della vittima, nell'inedito ruolo di vera manipolatrice della vicenda, di burattinaia che muove i fili degli uomini che la circondano, non a caso tutti interpretati da un solo attore, Filippo Timi, che diventa immagine dell’intero genere umano di sesso maschile, in qualche modo accomunato a quello, “contro” cui infine si rivolta Nora.
Gli attori, la cui prova è sempre equilibrata rispetto agli umori dei personaggi che si modificano durante la lunga messa in scena, si muovono in un interno che rimanda chiaramente a quelle leziose “case di bambola” ottocentesche. Lo spazio, creato da Gian Maurizio Fercioni, che si avvale degli elementi di Barbara Petrecca e dei meravigliosi costumi di Fabio Zambernardi e Lawrence Steele, diventa immagine stessa di una prigione dorata, di un luogo costruito per la comodità, dove regna una presunta felicità, uno spazio che si deve abbandonare quando il gioco però è giunto al termine.
Grandi applausi sul finale per uno spettacolo che sembra raccontare quanto poco abbiamo imparato, e quanta strada ancora ci sia da fare per trovare quella libertà che non parli più di genere, ma di esseri umani in quanto tali.
 
 
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenti