“SEPOLTE VIVE” – di Vittorio Lucariello
Alla
Sala Assoli di Napoli il 28 e il 29 novembre
Servizio di Antonio
Tedesco
Napoli - Negli spettacoli di Vittorio Lucariello
bisogna perdersi. Lasciarsi trasportare dalle libere associazioni di un artista
che per sua natura e formazione culturale ha un approccio multidisciplinare
all’arte. Un approccio che nella forma scenica si coagula facendosi teatro e,
nello stesso tempo, negandosi al teatro, almeno come siamo abituati a pensarlo
nelle sue espressioni più classiche. Solo lasciandosi trasportare e perdendosi
nel labirinto di rimandi, riferimenti, citazioni, e rinunciando ad ogni
tentativo di concatenazione logica, si riesce alla fine a percepire il “senso”,
a essere colti da quella luce che ti illumina tutto a ritroso.
In Sepolte vive, lo spettacolo che
Lucariello ha messo in scena nell’ambito delle celebrazioni per il trentennale
della Sala Assoli, la figura femminile viene assunta (come appunto
l’esplicativo titolo) a modello, paradigma dell’intera civiltà occidentale. Completamente sepolta, ormai, sotto il cumulo
di merci, lo strapotere del mercato e le fugaci illusioni che produce. Con il
relativo profluvio di falsi miti, i luoghi comuni della contemporaneità che stanno
corrodendo alle radici l’identità e la cultura occidentale.
Lucariello,
strenuamente coerente con i suoi quarant'anni di teatro, non fa sconti, non
accarezza l'occhio, né l'orecchio dello spettatore. Chiede ai suoi attori di
avere una presenza scenica forte. Costruisce azioni teatrali mentre i testi,
raramente definibili come “dialoghi”, esprimono idee e pensieri altrettanto
scomodi e forti. Il tutto in un insieme volutamente dissonante che rompe le
armonie classiche per costruirne di nuove e più pregnanti. Vicino all'arte
concettuale e agli esperimenti scenici più avanzati, Lucariello fa interagire
il teatro con le arti visive e performative, con la musica che si fonde con le
parole, affrontando tematiche profonde con piglio che non teme di essere
aggressivo, ma anche leggero. Continua così, inossidabile, la sua strada dagli
anni Settanta, non toccato dalle mode e ancor meno dalle lusinghe di effimeri
successi. Il suo teatro conserva quel sapore underground, quel tenore
volutamente grezzo e diretto, per certi versi anche scontroso, delle famose
“cantine”, luoghi di sperimentazione e di ricerca teatrale di quegli anni.
Consapevole della necessità di dover rilanciare sempre la lotta. Di non
fermarsi, di non lasciarsi appannare gli occhi e la mente dal torpore e dalle
lusinghe del tempo.
Ha formato
così generazioni di attori. Confermandosi punto di riferimento imprescindibile
anche quando tutto sembrava andare in diversa direzione.
Così Sepolte
vive può considerarsi un allestimento che, come tutti quelli dello stesso
regista che l'hanno preceduto, non esiteremo a definire “godardiano”. Un Adieu
au langage teatrale costruito con attori, ballerine, performer, interventi
musicali e video e con pochissimi elementi scenici. A dimostrazione, ancora una
volta, di quanto i grandi maestri del Novecento ci hanno insegnato, e cioè che
un teatro forte e vero, nasce dal di dentro e non ha bisogno di grandi
orpelli e dispendiose sovrastrutture.
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