“Cassandra - Festa di nozze. Variazione sul mito n. 2” - Drammaturgia e regia di Laura Angiulli (con contributi di Enzo Moscato)

Al Teatro Galleria Toledo di Napoli dal 15 al 17 giugno, per il Napoli Teatro Festival Italia

Servizio di Antonio Tedesco

Napoli -     Cos'è un veggente? Qualcuno che ha il dono della vista in un mondo di ciechi. Dove la cecità, il più delle volte, è il sintomo palese dell'oscurità dell'anima. Quello del “vedere” realmente, è un dono che non può essere compreso, né trasmesso, né condiviso. E che, proprio per questo, si trasforma in una maledizione. Cassandra possiede la capacità di scrutare nel lato oscuro degli uomini. Nella zona d'ombra delle loro anime. Vede la verità. E proprio per questo viene etichettata come predicatrice di sventure.  Qui sta la sua tragedia, in questa sorta di maledizione dello sguardo inflittole da Apollo, e che, tra le altre cose, le rende chiara la vera natura della guerra assurda e feroce, dei Greci contro Troia, che sarà solo fonte di morte e distruzione. La sua è la frustrante impotenza di questo sguardo lucido, limpido, che non riesce a bucare il buio che avvolge il cuore dell'umanità. E allora questa luce fredda e costante che riempie di sé la scena, nell'allestimento curato da Laura Angiulli, che ha costruito il testo attingendo da più fonti (da quelle classiche come Eschilo e Euripide e fino a Christa Wolf, avvalendosi anche di contributi di Enzo Moscato) è il segno di un disagio insostenibile, di un'evidenza inconfutabile quanto negata. Le parole che ne scaturiscono sono come macigni che schiacciano Cassandra stessa sotto il peso di una sofferenza senza sbocco.
E infatti, è proprio su questa sostanziale inutilità, eppure necessità, del linguaggio che svela gli inganni e le lusinghe di una apparente realtà, che si concentra la messa in scena di Laura Angiulli. Sfrondata formalmente la scena di tutti i riferimenti contestuali e immersa in una sorta di vuoto assoluto, caratterizzata da un bianco funereo, su cui si staglia il nero degli abiti delle attrici, il messaggio di Cassandra, la sua voce inascoltata, diventa un grido universale, l'eterna storia degli uomini. Questa luce fissa che incombe spietata come una inoppugnabile verità fa da cornice ad una recitazione che si trasforma in una sorta di tappeto sonoro, dove si alternano disperazione, rimpianto, invettiva, lamentazione tragica, come un basso continuo, martellante, da cui si levano acuti e variazioni, a volte lancinanti. Strutturata quasi come un brano di musica moderna, pur senza tradire i temi e gli intenti della tragedia classica, la rappresentazione è affidata ai corpi e alle voci delle brave e intense Alessandra D'Elia e Caterina Spadaro, che attestandosi su di una presenza scenica stilizzata quanto evocativa, si alternano, quasi dialogando, in brani recitati con grande forza e partecipazione emotiva. Una recitazione arricchita dai contrappunti vocali e musicali, fatti di contrasti e dissonanze, che si aprono quasi come ferite in quel fitto recitare di cui sopra, affidati alla splendida voce di Maria Pia De Vito e con le musiche e il suono curati da Enrico Cocco. Una messa in scena che si può definire in questo senso “concertata”, dove le suggestioni sonore e le essenziali figurazioni visive si caricano di un impatto che va anche oltre il pur profondo e pregnante significato testuale, ponendosi come flusso, fonte autonoma di energia e di senso.


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