"Le ho mai raccontato del vento del Nord" di Paolo Valerio per il Napoli Teatro Festival
L’Amore
ai tempi del virtuale
Servizio di Andrea Fiorillo
Servizio di Andrea Fiorillo
Napoli - Una mail all’indirizzo
sbagliato e tra due perfetti sconosciuti scatta la scintilla: questo l’incipit
dello spettacolo Le ho mai raccontato del vento del Nord con Roberto
Citran e Chiara Caselli, regia di Paolo Valerio. In scena durante il Napoli
Teatro Festival Italia, in prima mondiale l’11 e il 12 giugno presso la
Galleria Toledo, questa favola moderna è tratta dal capolavoro editoriale di
Daniel Glattauer considerato da Der Spiegel "uno dei più coinvolgenti
dialoghi d’amore
della letteratura contemporanea”.
Dopo aver superato l’impaccio
iniziale, tra Emmi Rothner, sposa e madre, e Leo Leike,
psicolinguistica vittima di un recente fallimento sentimentale, si instaura un’amicizia
giocosa, segnata dalla complicità e da stoccate di
ironia reciproca e da un rinnovato romanticismo telematico che avvince ed
appassiona.
Romanzo d’amore epistolare dell’era
Internet, descrive la nascita di un legame, di una relazione che coppia non è,
ma lo diventata virtualmente. Dirette superbamente in scena da Valerio, ed
accompagnate dalla musica che detta i tempi di Andrea Cipriani, queste due vite
intense si cercano, si rincorrono, si perdono in questo racconto nel quale il
sentimento, sebbene intenso, viene idealizzato fino a diventare astratto perché
lontano da quei difetti e da quelle imperfezioni che sono parte della vita di
tutti i giorni.
Ci si può dunque innamorare senza vedersi,
senza conoscere nemmeno la voce dell’altro, i respiri, la pause; si può passare
il tempo a pensare ed immaginare qualcuno mai visto prima, aspettando che un
messaggio arrivi, che altre parole arrivino per nutrirci con una tale intensità da
far passare in secondo piano l’altra vita, quella
vera, in un’attesa che diventa frustante, ma che è scacciata via se quel click
tanto agognato ci risolleva dal baratro.
Ma dove è la verità? Quanto di tutto ciò è solo
ed unicamente un bisogno egoistico di riempire dei vuoti che sono profondamente
in noi?
In questi frammenti di vita che sono parole,
i protagonisti non lasciano mai il loro spazio, il loro angolo di mondo, reso,
dalle scene di Antonio Panzuto, come due isole separate da uno spazio neutro.
Ed in questo “mondo” che diventa spazio vitale e fondamentale per i due
bravissimi attori, i personaggi si raccontano in dialogo inconsapevole regalato
al pubblico.
Quest’ultimo come confidente, amico, diventa
punto di riferimento per la ricerca di contatto che resta sempre ambita, e mai
veramente realizzata.
Due personaggi che vanno in fondo a se stessi
solo grazie al potere di un parole scritta raccontata, confidata; due anime che
utilizzano una macchina per mettersi a nudo, per raccontarsi così come si è,
per uscire da quell’ipocrisia nella quale troppo spesso siamo imprigionati per
ragioni che forse non riusciamo neanche a riconoscere.
Messaggi che si inseguono, si cercano, si
incontrano, ma solo nella rete, restando intrappolati lì, in una verità che resta
sospesa, perché vissuta, ma sempre solo in parte.
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