“NAPOLI 43” di e conEnzo Moscato

Al Nuovo Teatro Nuovo di Napoli dal 7 al 9 novembre

servizio di Andrea Fiorillo

 

Napoli - Una scena buia, una canzone a cappella che viene da lontano ma che è un suono che ci appartiene, che ci sussurra nelle orecchie che quello che stiamo per vedere è qualcosa di strettamente connesso a noi, è la nostra storia.
Così inizia Napoli 43 e questa è l’entrata in scena di Enzo Moscato, attore, autore e regista di questo spettacolo, realizzato per le celebrazioni del 70° anniversario delle Quattro Giornate dello scorso anno.

In scena al Nuovo Teatro Nuovo, dal 7 al 9 novembre, lo spettacolo già presentato durante la scorsa stagione, vede sul palco un considerevole numero di interpreti, tra cui Benedetto Casillo, Antonio Casagrande, Salvatore Cantalupo e Cristina Donadio, che si muovono circondati dalle immagini sceniche di Mimmo Paladino. Ed il motore del loro procedere è la parole viva e nuda di Enzo Moscato, che mette in scena la Storia di Napoli, della sua città, non per la prima volta: già con “Luparella”, e con “Sull’ordine e il disordine dell’ex macello pubblico” il drammaturgo napoletano era entrato prepotentemente nella vita passata di questa città, ed ancora una volta, forse superando le sue prove precedenti, lo fa senza retorica, andando oltre il racconto stesso. Supera, infatti, la semplice narrazione di una storia, e come lui stesso afferma procede su “un lavoro di frammenti. Un lavoro fatto su scampoli, ritagli, lembi esigui di qualcosa che una volta è stato intero. Non un vero e proprio lavoro da sarti, no, questo sarebbe presuntuoso. Piuttosto un umile lavoro da aggiustatore, da rimediatore, da risanatore, se possibile, di ciò che ora è lacerato, rovinato, irrimediabile, nella sua interezza e integrità, che un tempo, certo, ha avuto”.
Una scrittura che si indigna, che rifiuta, che si fa carne, sangue, morte, mantenendo però la melodia poetica tipica della scrittura di Moscato, che dà voce a questo grande movimento popolare, che, unico in Europa, si liberò da solo dai tedeschi. Ed in queste parole si fa sostanza la coscienza che in quei giorni i napoletani assunsero per combattere contro l’occupazione nazista. Una storia frammentata che si fa monito per la nostra quotidianità, perché paradossalmente “servirebbero i tedeschi a smuovere le coscienze di una città paralizzata”, che troppo spesso si lascia trascinare, “senza bussola o assertive indicazioni su come restar dritti da caduta”.

Da segnalare l’interpretazione, tra gli altri, di Cristina Donadio, a cui è affidata la parte del nemico, della spia «zozzosacantera fascista nonché tedesca bionda». Una bambola che si fa strumento di violenza e sopraffazione, nella cui lingua si ritrova il suono del nemico, e sulla cui schiena si rende palese la scelta “di convenienza”. Il tutto dettato da un tempo preciso che si fa sinfonia di uno spietato e bellissimo balletto, a ritmo di tamburo e scherno popolare.
Ed in questa scena semibuia, sulla quale si stagliano le immagini di Mimmo Paladino, la parola di Moscato ci accompagna, ci fa sorridere, riflettere, indignare, perché il suo Teatro riesce sempre a smuovere, perché la sua poeticità parla a noi oggi, recuperando il frammento di ieri.

 

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