GIOVANNI MEOLA IN TEMPO DI CORONAVIRUS
Incontro (telefonico maggio 2020) con Giovanni
Meola, libero e indipendente Virus Teatrale
Servizio di Rita Felerico
Napoli
- Nel giugno del 2019, presso l’Institute of the Arts of Barcelona
(IAB), è stata assegnata a Giovanni Meola la prestigiosa Honorary Fellowship
per le arti performative. Riconoscendo in lui una delle voci più intense della
drammaturgia contemporanea, la Honorary Fellowship conferma il ruolo di primo
piano in ambito europeo di tutta la sua attività teatrale, registica,
artistica, pedagogica; già negli anni 2017/2018
Giovanni Meola tenne presso lo IAB dei corsi di specializzazione dirigendo gli
attori specializzandi in una lettura scenica de L’uomo col fiore in bocca
di Luigi Pirandello e del suo testo teatrale inedito, per la pima volta in
inglese, L’amore può essere crudele. Quando si parla di lui, si
aprono alla riflessione e all’emozione le porte del teatro ‘civile’, della
dimensione ‘politica’ che si crea fra il palcoscenico e lo spettatore, del
coinvolgimento attraverso il racconto attoriale dello spettatore in una realtà
al tempo stesso rivelatrice dei dati di fatto ma capace di prospettare un
‘nuovo umanesimo’. È il messaggio etico che non lascia nelle retrovie nessuna
voce, che sviluppa nella trama non verticale ma orizzontale delle parole i
saperi/strumenti di cui si ha bisogno per orientarsi in questo mondo. Un teatro
ai confini, che osserva da lontano una società costituita, nella quale entra e
si infiltra come voce indipendente e libera, non a caso nel 2003 Giovanni fonda
e dirige la compagnia indipendente Virus Teatrali , con
la quale produce o co-produce diversi spettacoli.
Quali
sono secondo te le conseguenze – positive / negative - più significative causate
dalla pandemia all’interno del mondo del teatro?
Il mondo del
teatro, lo sappiamo, è ‘uno, nessuno e
centomila’. Le anime che lo compongono sono le più diverse e quindi, a
mio avviso, sono e saranno assai diverse e differenziate le conseguenze
derivanti da questo blocco indiscriminato delle nostre attività. Tuttavia, il
minimo comun denominatore, la necessità di teatrare ‘in persona’, la concretizzazione di quell’hic et nunc che da quasi 3000 anni
caratterizza questa meravigliosa invenzione, è necessità vitale per tutti ‘i’ teatri, per tutte le forme
disparate con cui ciascuno di noi cerca di esprimersi e comunicare. Per ora,
dobbiamo avere la pazienza di capire per bene che limitazioni che ci verranno
imposte, un attimo dopo, ne sono certo, ci metteremo tutti a formulare
diagnosi, cure e rimedi, augurandoci non ci distanzino troppo dal teatrare ‘in persona’ di cui dicevo prima.
La
tua esperienza drammaturgica e formativa che ha abitato diversi luoghi di
azione, dai palcoscenici importanti a quelli underground, dalle carceri alle
scuole, dai cortili alle abitazioni private, quali parole suggerisce allo
spettatore post - corona che ritorna a e al teatro?
Il bello di questo lavoro,
che quando ‘riesce’ è anche e
soprattutto arte, un’arte propulsiva alla crescita della bellezza e del dubbio,
dell’analisi e dell’emozione, è che si possono attraversare mille luoghi e
mille spazi senza mai perdere quella carica propulsiva. Il ritorno a teatro
sarà carico, a sua volta, di mille implicazioni reali e metaforiche. In primis,
quando accadrà, significherà il riappropriarsi di una ritualità laica, ed
altamente suggestiva, che fa sì che una comunità di esseri umani perlopiù
sconosciuti tra loro, piccola o grande che sia, sta per vivere un’esperienza
comune dalla quale uscirà necessariamente (almeno un po’) trasformata. In
secundis, il ritorno ‘al’
teatro comporterà un percorso interiore, differente per quanto differenti sono
le persone che lo vivranno, pieno zeppo di mostri, angeli, demoni, visioni,
aspettative, frustrazioni, dolori, gioie, vocazioni. Insomma, il nostro
personale ‘nostos’ potrà essere
davvero, come sempre del resto, un fondamentale momento di formazione, o anche
di rifondazione. Importanza e peso del teatro, nella vita di chi lo ha
attraversato finora amandone contraddizioni e asprezze, magia e liberazione,
saranno di nuovo lì a portata di mano. Anche se, per un po’, ad una… certa
distanza di sicurezza.
Ti
aspetti dei cambiamenti nel mondo dello spettacolo e più in generale in quello culturale
a livello di gestione economica e progettuale? Hai delle proposte al riguardo?
È sempre difficile
immaginare il portato concreto delle rivoluzioni, ancor di più quando queste
rivoluzioni sono imposte e non agite. Sono abbastanza certo, comunque, che le
nuove regole imporranno modifiche sia nel modo di fare teatro che di fruirlo, e
che questo comporterà sacrifici la cui onda si esaurirà non presto. Che ciò
possa significare qualcosa, in termini di miglioramento o peggioramento, è
arduo immaginarlo ora. Ciò che posso dire, invece, è che la nuova necessità di
mettere in scena opere con un numero contenuto di attori o, almeno, con un
numero contenuto di personaggi contemporaneamente in scena, potrebbe finalmente
aprire le porte ad un qualcosa finora ingiustamente tenuto ai margini, ovvero
la miriade di testi di drammaturghi viventi bravi e capaci sempre troppo spesso
lasciati ai margini (il tutto per insipienza di produttori e distributori, non
certo per neghittosità del pubblico che, anzi, io constato sempre più avere
voglia di drammaturgia contemporanea e di messe in scena non paludate ma vive e
in grado di sperimentare linguaggi e forme) che raccontano questi tempi nelle
maniere più disparate. A cominciare dalla mia, di drammaturgia, e passando a
quella di tanti colleghi che stimo e ritengo cantori illuminati, mi auguro
proprio che da questo punto di vista, almeno, questo tsunami possa servire a
svecchiare il repertorio e a rivitalizzarlo.
I
progetti che hai interrotto e che sei deciso a riprendere? Cambiano dopo questa esperienza di
quarantena? Se sì, in cosa?
A parte le
docenze lasciate in sospeso (che mi auguro vivamente possano essere rimesse in
pista, perché il lato della formazione è altrettanto affascinante e importante
di quello della creazione di drammaturgie o di lavori e messinscene), sono
stati diversi i progetti in corso saltati. A cominciare dal mancato debutto di “Amleto (o il Gioco del Suo Teatro)”,
riscrittura collettiva dell’Amleto di Shakespeare con soli tre attori in scena (Sara Missaglia, Vincenzo Coppola, Solene Bresciani).
Voglio credere che tutto il lavoro svolto possa trovare concretizzazione non
appena si potrà riprogrammare e faremo di tutto perché ciò accada. Così come mi
auguro fortemente di poter recuperare le repliche saltate di diversi altri
lavori (tra cui ‘Io So e Ho le Prove’, liberamente tratto dall’omonimo caso letterario di V. Imperatore sulle nefandezze delle banche, ‘Il Bambino con la Bicicletta Rossa’,
sul caso-Lavorini, con Antimo Casertano; ‘Tre. Le Sorelle
Prozorov’ da Cechov, con Roberta Astuti Chiara Vitiello e S. Missaglia; e altro ancora). Un altro progetto a me molto caro,
che cercherò di rimettere in pista quanto prima, è un workshop su ‘Il Gabbiano’ di Cechov, con un
gruppo agguerrito di giovani attori. Non sono ancora saltate, ma andranno di
sicuro rimodulate, e andrà quindi capito se la loro realizzazione sarà o meno
possibile, le nuove edizioni delle due rassegne da me ideate e che dirigo, Teatro alla Deriva (presso le Stufe
di Nerone) e Teatro Deconfiscato.
Insomma, staremo a vedere. Di certo, c’è piena e strenua volontà di recuperare
il più possibile ma ovviamente anche di pensare a nuovi progetti e nuove
modalità creative.
E
In prospettiva pensi di dedicarti a qualche ricerca / lavoro in particolare?
A dire il
vero, l’unico lavoro che sono riuscito a portare avanti senza alcun problema,
durante questo periodo di stop forzato, non ha avuto a che fare col teatro
bensì col cinema. Ho appena finito di montare un lungometraggio, un
documentario intitolato ‘La
Conversione’ (di cui è ora in corso la post-produzione e che racconta le
vere vicende di vita di due personaggi paradigmatici, un ex-rapinatore con
trascorsi trentennali in carcere, oggi diventato scrittore e attore, Peppe De Vincentis; e un
ex-manager bancario, Vincenzo Imperatore, prima ‘gola
profonda’ del nostro sistema finanziario, che in tre libri ha svelato
trucchi e nefandezze del sistema bancario ma senza autoassolversi, come è
invece solito accadere nel nostro paese) che rappresenta l’inizio di un
percorso a me molto caro e al quale dedicherò molta energia e cura in futuro,
ovvero quello del ‘cinema del reale’
di cui sono diventato nel tempo grande estimatore e spettatore e, a cominciare
appunto da questo lavoro, anche facitore. Ho altri due progetti di cui dovrò
curare a breve montaggio ed elaborazione, una sorta di video-diario della mia
esperienza con i detenuti di Poggioreale (“Art. 27, comma 3 – Nu Juorno ‘Nzieme”), nata e sviluppata
grazie alla collaborazione con il combattivo Festival del Cinema dei Diritti
Umani di Napoli, e il video-racconto della nascita, dell’immenso lavoro svolto
e dell’andata in scena del progetto cechoviano legato a ‘Tre Sorelle’. Contemporaneamente sono al lavoro di
pre-produzione di altri due documentari ma, come è giusto che sia, fino a che
non si ha certezza di filmare e dare loro vita è bene non pronunciar troppe
parole a vuoto. Dal punto di vista teatrale, invece, ho cominciato studio e
scrittura di un testo legato alla figura dell’Orazio amletiano e,
contemporaneamente, sono in fase di studio, e anche un po’ già di creazione,
del Purgatorio dantesco, una cantica forse un po’ troppo trascurata che
potrebbe diventare oggetto di una mia nuova regia e anche di un mio ritorno in
scena, affiancato anche qui, come in ‘Io So e Ho Le Prove’ dalla voce di Daniela Esposito.
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