Emergenza Covid-19, lettera aperta di Gabriele Russo co-direttore artistico del Teatro Bellini di Napoli
Napoli
30 aprile 2020
Il
decreto diffuso ieri dopo la conferenza stampa del Presidente Conte ci conferma
quel che già immaginavamo,
tutte le attività di spettacolo dal vivo e di formazione sono sospese. Ci
chiediamo invece in quale fase (la 3? la 4? la 5?) ci sarà dovuta qualche
risposta più specifica, quale che sia. C’è
molto da fare perché le istanze del nostro settore assumano quel carattere di
urgenza che sembra dovuto ad altri comparti. Non
sappiamo più con quale mezzo ed in che lingua raccontarci ai nostri
interlocutori politici, si sprecano studi di settore, grafici, algoritmi,
lettere, appelli che hanno l’obbiettivo comune di dimostrare empiricamente il
peso della ricaduta economica, occupazionale, civica e culturale del nostro
settore, tuttavia non si riesce a modificare la percezione accessoria del
nostro lavoro nella larga parte delle istituzioni. È frustrante e forviante
doverlo ribadire continuamente da soli con tutte le contraddizioni che ne
derivano.
Forse
anche per noi ci vorrebbe un comitato scientifico: filosofi, psicanalisti,
antropologi, scienziati, economisti di chiara fama che sappiano raccontare
meglio di noi, diversamente da noi, la nostra funzione. Basti
pensare che in passato le polis venivano costruite a partire da una piazza centrale,
deputata al rituale politico; una chiesa, deputata al rituale religioso; un
teatro, deputato al rituale laico.
Ci troviamo di fronte ad un bivio, le scelte
che si faranno oggi segneranno il futuro dello spettacolo dal vivo e soltanto
con l’intervento di investimenti strutturali importanti e coraggiosi che
guardino a salvaguardare il presente potremo sperare di sopravvivere oggi ed
essere finalmente solidi domani. Per
lo stato è il momento di scegliere.
Non
c’è settore che non busserà alla sua porta poiché la pandemia ha investito
tutto e tutti, saprà il governo equiparare le istanze di settori molto più
assertivi, rappresentati e compatti a quello dei 300.000 lavoratori dello
spettacolo dal vivo? Noi dovremmo capire di non essere 20mila + 10.000 + 70.000
+ 90.000 + 110.000; di non essere la lirica, la prosa, i festival, i grandi
teatri, i piccoli teatri, i circuiti, gli attori, i critici, i tecnici, le
associazioni e le altre mille categorie in cui ci frammentiamo, ma di essere in
300.000 mila, nel mezzo di uno tsunami economico e sociale che rischia di
spazzarci via tutti.
In
questo momento la poetica dovrebbe essere “mettere la poetica da parte” o forse
la poetica sta nella privazione della poesia. Questo tempo sospeso, che apre
dibattiti e domande sul senso del nostro lavoro porterà con sé idee e contenuti;
fornirà materiale scenico nuovo e fertile per i prossimi duecento anni ma a
patto che si trovi il modo per tornare a lavorare.
Oggi, disarmati ed impotenti di fronte ad un
nemico imprevisto e letale, in attesa di misure e date certe, ci stiamo
interrogando sul da farsi.
Passando
dall’universale al particolare, abbiamo immaginato quali conseguenze avverrebbero
le chiusure di teatri come il Bellini, sugli artisti, sulla filiera legata alle
produzioni, sul pubblico e sulle tante attività che gravitano intorno a noi: fornitori,
bar, ristoranti, alberghi, mezzi di trasporto. Rischierebbero di crollare in
parecchi. Siamo testimoni di come un teatro che viva abbia contribuito nel
corso degli anni a segnare la rinascita di un intero quartiere.
Ad
illuminarlo, letteralmente. Siamo dunque consapevoli di dover assolvere alla
nostra funzione, sociale ed istituzionale, anche se dovessero essere confermate le complesse condizioni non ancora ufficiali
che trapelano in questi giorni. Applicheremo tutte le normative, in fase
di studio, utili a mettere in sicurezza la salute del nostro pubblico. Probabilmente
nella prima fase di riapertura
ci sarà concesso di andare in scena soltanto con spettacoli ad uno, due o al
massimo tre attori, il che ha in sé l’enorme limite di non creare lavoro
per gli artisti, o almeno di limitarlo ad un numero davvero esiguo e per di
più, probabilmente, formato in larga parte dai nomi più solidi del panorama
nazionale. È su questo punto che noi insistiamo, augurandoci che
parallelamente, il governo possa recepire la richiesta di poter provare ed
allestire i prossimi spettacoli, quelli che presumibilmente andranno in scena
quando tutto tornerà alla “normalità” insieme ai percorsi di formazione. Questo
ci consentirebbe di rimettere in moto l’intera macchina produttiva e riattivare
tutta la filiera che è formata oltre che dagli attori, anche da registi,
scenografi, costumisti, tecnici, scenotecniche, sartorie ecc. Al netto delle
teorie che ci dicono che per fare teatro basti un attore, una lampadina e uno
spettatore ci preme la salvaguardia dell’intera categoria.
Per
farlo sono necessarie due cose, da un lato che venga istituito e sostenuto un
protocollo sanitario chiaro che regoli la possibilità di far provare le
compagnie in un ambiente sicuro (così come accadrà per gli sport di squadra,
cui sarà concesso riprendere l’attività agonistica a porte chiuse) dall’altro
che lo stato evidenzi delle misure di sostegno essenziali alla tutela dell’attività
produttiva essenziale a garantire l’esistenza della nostra “specie”. Si tratta di una scelta politica. Ad oggi il
Fus rappresenta lo 0.047% del Pil (compresi il cinema e l’audiovisivo), nel
1985 rappresentava lo 0.083%.
Lo
stato in questo momento ha una grande occasione. Come lo vorrà questo paese?
Saprà mettere al centro della ricostruzione la sua bellezza? Vorrà investire in
quei settori più fragili e necessari a costruire un’idea di futuro?
Tutti ci
auguriamo che questa drammatica pandemia, possa rivelarsi una spinta a creare
un “nuovo mondo”. Ma il cambiamento auspicato non deve minare in alcuno modo la
naturale e primaria necessità del ritorno alla condivisione, al contatto,
all’aderenza tra individui. Il rispetto delle misure di distanziamento sociale
deve servire esclusivamente al riavvicinamento sociale. È urgente ribadire con
forza questo concetto, tutti ci stiamo sacrificando e continueremo a farlo solo
nella misura in cui l'obbiettivo sarà quello di tornare a stare insieme. Meglio
di prima ma come prima; e lo spettacolo dal vivo può e deve esserne simbolo e bandiera.
Gabriele Russo
Co-direttore artistico Teatro Bellini di Napoli.
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