“UNA SERA ASCOLTANDO UN VECCHIO TANGO MI SONO ADDORMENTATO E HO SOGNATO PINA BAUSCH” Drammaturgia e regia di Giuseppe Sollazzo

Al Teatro La Giostra di Napoli dal 29 al 31 marzo 2019

Servizio di Antonio Tedesco

Napoli -  Il lungo titolo è quasi una dichiarazione di intenti, anzi di poetica. “Sognare Pina Bausch”  significa sognare la vita. Ma in forma di rappresentazione teatrale. Una rappresentazione che ne coglie l’essenza, depurandola da ogni intreccio drammaturgico, da ogni pretestuoso approfondimento psicologico che non sia quello di una quotidianità vista come punto focale, come sommatoria di momenti che racchiudono il senso e il cuore dell’esistenza. E a cui anche il tango, nella sua più autentica tradizione, si riferisce. Momenti che non possono manifestarsi in altro modo che attraverso una gestualità ordinaria e proprio per questo spezzettata, frammentata, reiterata, incompiuta. Che sulla scena la Bausch sapeva trasformare in sublime coreografia. Delicata, ma anche aspra e graffiante all’occorrenza. A lei, iniziatrice di un nuovo modo di vedere e concepire la danza, che restituisce concretezza e consistenza vitale a certe astrazioni del balletto classico, Giuseppe Sollazzo dedica questo spettacolo-omaggio nel decennale della morte.  E lo fa mettendo in scena attori-ballerini non professionisti, che proprio per questo sembrano più vicini a quella vita colta nel suo farsi che, seppur in maniera più elaborata,  era l’obiettivo artistico della grande coreografa. Sollazzo mette insieme in questo modo una rappresentazione delicatamente evocativa e sinceramente rispettosa dell’opera e della figura della Bausch. Le figurazioni coreografiche che rimandano a momenti della quotidianità o alla rappresentazione di sentimenti e stati emotivi comuni e riconoscibili a tutti, sono accompagnati da brani registrati che riportano, in forma di intervista, frammenti e pensieri della filosofia dell’artista tedesca. La presenza della stessa in scena, sotto forma di pupazzo a grandezza naturale (realizzato e animato dalla brava Flavia D’Aiello) aggiunge un tocco di magia evocativa. L’armonia dell’insieme viene in almeno due occasioni artatamente spezzata da eventi che sembrano estranei ma che, appunto, come nella realtà, irrompono inaspettatamente (un rapido ma urtante episodio di violenza e una finta interruzione tecnica che vede scendere in scena lo stesso regista a evocare in maniera ancor più diretta la magia del teatro). La stessa Bausch, sempre in forma di pupazzo, esce per la città, la vive, la osserva nei suoi scenari notturni, ne partecipa, in qualche modo, alla danza quotidiana, il tutto restituito in sala da un breve ma accattivante filmato. E ad arricchire ancora lo spettacolo in una sorta di multimedialità scenica ci sono ancora gli interventi della (anch’essa brava) vocalist Annita Vigilante. Circa venti gli attori complessivamente impegnati che con le loro azioni e movimenti ben coordinati (con alcuni accenni di coreografie anche più complesse) rendono bene l’idea del mondo e del suo brulicare di desideri, di emozioni, di vita.        

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