“Il fu Mattia Pascal” – di e con Tato Russo, dal romanzo di Luigi Pirandello

All ‘Augusteo dal 12 al 15 novembre e dal 2 al 6 dicembre va in scena la magia di Pirandello

Servizio di Francesca Myriam Chiatto
 

Napoli – La prima cosa che scelgono i nostri genitori per noi? Il nome, certamente. Eppure cos’è un nome? A cosa corrisponde, realmente, un nome proprio? Alla persona che lo porta, risponderebbero tutti. Ma cosa succederebbe se questa persona “morisse” per “rinascere” in un suo doppio mai esistito prima? Sono le domande di fondo che ci vengono poste da “Il fu Mattia Pascal”,  che Tato Russo ha tratto dal celebre romanzo di Luigi Pirandello, e che, con la sua stessa regia, è in scena al Teatro Augusteo, dal 12 al 15 di novembre e poi dal 2 al 6 dicembre. Gli spettatori, come trasportati in un viaggio immaginario con il “matto Mattia” lungo il percorso della sua vita, muoiono con lui, rinascono in Adriano Meis e muoiono ancora, per ritornare Mattia Pascal, anzi quello che fu Mattia Pascal. Forse una ricerca, piuttosto che un viaggio, per tentare di trovare, attraverso uno slalom fra essere e apparire, la propria ragione d’esistere o, meglio ancora, la propria vera identità, il vero essere che è in noi. Basta una notizia letta per caso su un giornale (il suicidio del nostro Mattia)  ed ecco che si perde anche l’unica vera certezza: il nome, diventando in un attimo chi non esiste. Come i personaggi sono in fondo un po’ doppi di se stessi nelle due vite del protagonista, così gli attori (Katia Terlizzi, Adriana Ortolani, Marina Lorenzi e Massimo Sorrentino per citarne alcuni)  interpretano più di un ruolo, quasi a scegliere di non fare chiarezza nella storia e nella ricerca della verità. Ed ecco che a sancire tutto questo  vi è uno specchio fra gli oggetti di scena, più volte chiamato in causa a simboleggiare il riflesso di chi non conosce sé stesso essendo alla continua ricerca di una sua identità. Un’occasione unica, dunque, quella della “morte inaspettata e casualmente capitata”. Mattia se ne serve per vivere un’altra vita, quella che per le convenzioni sociali e la maschera che ci costruiamo non riusciamo a realizzare, quella che non ci farebbe pensare “le cose sono andate così”, quella che, per dirla alla “Sliding doors”, avremmo vissuto salendo su quel treno. Il fascino delle luci e dei costumi che riproducono perfettamente la realtà del tempo li dobbiamo, rispettivamente, a Roger La Fontaine e Giusi Giustino, mentre le scene sono di Tony Di Ronza e le suggestive musiche di Alessio Vlad. Il tema del doppio, ampiamente sfruttato nella letteratura, viene qui riproposto egregiamente in rappresentanza delle spesso molteplici sfaccettature che caratterizzano ognuno di noi, come un cubo in cui ogni faccia ha un colore diverso. Particolarmente emozionante la scena della battuta finale (ripresa alla lettera dal romanzo): “Io sono Il fu Mattia Pascal”. Buona la prova offerta dalla nutrita compagnia di attori in scena.

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