“JOHN GABRIEL BORKMAN” DI hENRIK iBSEN

Al Teatro Mercadante di Napoli dal  5 al 16  dicembre 2018

Servizio di Rita Felerico

https://www.teatrostabilenapoli.it/wp-content/gallery/borkman_5/BORKMAN-Gabriele-Lavia-ph-Manzini.jpghttps://www.teatrostabilenapoli.it/wp-content/gallery/borkman_5/BORKMAN-Gabriele-Lavia-ph-Manzini.jpgNapoli – Abita tutto lo  spazio scenico  con la voce,  gli sguardi, i gesti  ma è soprattutto il suo inquieto andirivieni su quei piani inclinati, gettati con prepotenza  verso il boccascena per irrompere fra il pubblico, a catturare l’attenzione.  Il Borkman di Gabriele Lavia, con grande padronanza e senza nessuna esitazione, in questo concitato camminare denuncia l’insensatezza della sua scellerata scelta di vita e quel voler andare incontro alla platea, disperato, cercando  un punto di contatto – che mai troverà, fermandosi sempre sull’orlo -  è un modo per sfuggire ai suoi nodi interiori, anche quando è lì sulla spigolosa, scivolosa, innevata, inclinata roccia dove andrà a morire. Il destino voluto da Henrik Ibsen per John Gabriel Borkman è segnato dalla mancanza, dal non riuscire mai a liberarsi da una claustrofobica solitudine, frutto dei misfatti compiuti verso se stesso soprattutto, dai bui sensi di colpa. In questo penultimo lavoro, scritto nel 1896, il drammaturgo  svedese nel descrivere la rovinosa caduta morale e psicologica, dopo una condanna per truffa, di un uomo  che “si era fatto da solo” inseguendo un sogno di potere e ricchezza, mette a nudo il baratro verso il quale tutta la società di fine secolo si stava incamminando, nel perseguire obiettivi privi di affetti, istinti, negando l’amore. Il ‘dio denaro’ occupa la vita di Borkman e ne dimensiona  e ne condiziona il livello di felicità e cura di sé. L’intuizione del regista Marco Sciaccaluga è  trasportare il vento del disastro di fine secolo intuito da Ibsen, nell’atmosfera disfatta  della contemporaneità, coadiuvato dai colori degli austeri costumi e di scena disegnati da Guido Fiorato (tante sfumature di grigio striato e irruzione di bianco accecante) e dalle luci di Marco D’Andrea che accompagnano con differente intensità  il dispiegarsi degli accadimenti. Accanto a lui, infatti, che cinicamente ascolta il suono del denaro come una musica che si propaga dal centro della terra, si snodano le vite di Gunhild moglie isterica e rancorosa, vagamente alcolizzata,  del suo primo amore, Ella, sorella gemella di Gunhild  amata, ma freddamente abbandonata nelle braccia di un potente uomo d’affari per inseguire il suo fallimentare sogno, di un figlio Erhart, poco amato e desideroso di fuggire dall’angosciosa atmosfera familiare, di una ricca donna, Fanny, che riesce a circuire il figlio, trascinandolo in una avventurosa fuga insieme a Frida,  figlia del suo migliore amico, Foldal fedele compagno di sempre, reputato anche se in maniera non esplicita  un mediocre sognatore, colui che anche nella malvagità ritrova sempre un filo di lucente speranza, forse per non vedere?  Un ironico giudizio sulla poesia e su quanto sublimi la crudeltà della vita.  Difficile da dimenticare questi gelidi paesaggi interiori, il trasformarsi in ghiaccio di ogni possibile passaggio di vita, per esempio quando Ella confida di stare per morire, perché affetta da una grave malattia, o quando la malata Ella chiede al nipote – da lei adottato dopo la condanna di  Borkman – di accompagnarla alla morte. E di ghiaccio è la fine di Borkman ( che in danese vuol dire ‘corteccia’, ovvero cuore di pietra ) non solo per l’immobilità nella quale si trasforma il paesaggio dopo la tormenta di neve, ma è come se il passaggio, il movimento alla morte non fosse possibile, perché Borkman morto lo è già, suicida o ucciso dalle circostanze non importa, immobile, nonostante il suo abile camminare.

Un vero maestro Gabriele Lavia, convincenti gli altri interpreti, spicca Roberto Alinghieri nei panni dell’amico Foldal e Federica Di Martino, nel ruolo di Ella.

JOHN GABRIEL BORKMAN
di Henrik Ibsen
versione italiana Danilo Macrì
regia Marco Sciaccaluga
con Gabriele Lavia, Laura Marinoni, Federica Di Martino, Roberto Alinghieri, Giorgia Salari, Francesco Sferrazza Papa, Roxana Doran
scene e costumi Guido Fiorato
musiche Andrea Nicolini
luci Marco D’Andrea

produzione Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, Teatro della Toscana – Teatro Nazionale

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