Gran colpo di teatro per “Qualcuno volò sul nido del cuculo” con la regia di Alessandro Gassmann e l’ottima prova d’attore di Daniele Russo


Con la riduzione teatrale di Maurizio De Giovanni al Bellini di Napoli fino al 19 aprile

Servizio di Anita Curci



Napoli – Non capita tutti i giorni, in questi tempi, d’assistere a prove artistiche di gratificante valore. E noi, in questo preciso momento storico, sappiamo dirlo. In attesa di prossimi ‘grandi’ eventi.

E ci sorprende - ma forse non dovremmo poi così tanto, vista la qualità delle precedenti stagioni – come i giovanissimi fratelli Russo, figli di Tato, continuino a portare avanti con coraggio, talento e determinazione coerenti scelte teatrali in una città di per sé poco incoraggiante. 

L’allestimento andato in scena il 10 aprile in prima nazionale al teatro Bellini, ispirato al libro del 1962 di Ken Kesey, “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, per la regia spettacolare, calibrata, minuziosa di un Alessandro Gassmann in splendida forma, si è rivelato stupefacente. Di respiro europeo. O forse di più.

Il lunghissimo applauso finale e quelli a scena aperta ne hanno offerto una larga dimostrazione.

A occuparsi della sceneggiatura, un autore nostrano, Maurizio De Giovanni, che ha preso spunto dall’adattamento in italiano di Giovanni Lombardo Radice il quale a sua volta lo aveva tratto da quello di Dale Wasserman del 1971, utilizzato per la celebre sceneggiatura del film di Miloš Forman, con Jack Nicholson, nel 1975.

Qualcuno volò sul nido del cuculo è una storia fatta, nella sua originaria fattura, di country e baseball, di slang e memorie degli anni Cinquanta, di veterani e polverose province americane. Un vestito esotico e profumato, che tuttavia non è il nostro. Io ho provato a trasportarne gli elementi primari in un tempo e in uno spazio più vicini, per vedere se anche in un luogo disperato e terribile come un ospedale psichiatrico della nostra tormentata Campania e in un tempo di urla e silenzi come i primi anni Ottanta potevano sopravvivere le amicizie, i rancori e le tenerezze di questa meravigliosa e delicatissima Storia”, spiega De Giovanni. E trasporta sul palco la vicenda, immaginandola ambientata nel 1985 all’ospedale psichiatrico di Aversa. Con dei pazzi che sostengono la loro parte veramente bene, in un luogo tremendo, il manicomio, dove il senso di umanità è inesistente, e vivo rimane solo il sentimento di prevaricazione. Sopraffazione del sano, despota e repressivo, sul povero malato. Una denuncia palpitante, quasi metaforica, sui metodi di costrizione della società e sui rapporti tra “individuo e potere costituito”. A pochi giorni dalla chiusura in Italia di tali centri. Quasi a conclusione di un cerchio chi sa se mai veramente chiuso.

“La malattia, la diversità, la coercizione, la privazione della libertà sono temi che da sempre mi coinvolgono e che amo portare in scena con i miei spettacoli. In questo allestimento tutto ha inizio con l'arrivo di un nuovo paziente che deve essere "studiato" per determinare se la sua malattia mentale sia reale o simulata. La sua spavalderia, la sua irriverenza e il suo spirito di ribellione verso le regole che disciplinano rigidamente la vita dei degenti, porterà scompiglio e disordine ma allo stesso tempo la sua travolgente carica di umanità contagerà gli altri pazienti e cercherà di risvegliare in loro il diritto di esprimere liberamente le loro emozioni e i loro desideri”, chiarisce Gassmann.
Il nuovo paziente si chiama Dario Danise e possiede tutta l’energia e la freschezza di un uomo vitale. La stessa vitalità che vorrà trasferire ai suoi amici di reparto,vulnerabili, passivi e inerti”, con tutto il trasporto umano di cui è capace. E con cui combatterà quella sua piccola guerra contro un sistema ingiusto, inutile e crudele. Operazione che a lui costerà atti di sopruso psicologico e fisico. E la vita stessa. Ma ai suoi compagni restituirà il significato di essere capiti e di poter con le proprie forze sperare in una eventuale libertà.

Al limite tra palco e proscenio un telo attraverso il quale, in un sorprendente connubio tra teatro e cinema, vengono proiettati, con videografie, i sogni, le angosce, gli stati d’animo dei personaggi, soprattutto del ‘gigante buono’ Ramon, figura incredibile e di grande effetto emotivo.

Sensazionali alcune proiezioni utilizzate per mettere a fuoco particolari avvenimenti della pièce, fino a quella impressionante di chiusura che ha fatto guadagnare a tutto lo staff dello spettacolo una pioggia di meritati applausi.

Insieme all’eccellente Daniele Russo (Dario Danise), sul palcoscenico una Compagnia d’attori degna di ogni lode: Gilberto Gliozzi, Mauro Marino, Daniele Marino, Marco Cavicchioli, Alfredo Angelici, Giacomo Rosselli, per i malati di mente; e Elisabetta Valgoi (suor Lucia), Giulio F. Janni, Gabriele Granito, Antimo Casertano, Giulia Merelli, per il personale dell’ospedale.

Le scene di Gianluca Amodio, i costumi di Chiara Aversano, le apprezzabili musiche originali sono di Pivio & Aldo De Scalzi e le strepitose Videografie di Marco Schiavoni con l’ausilio del disegno luci di Marco Palmieri.

Spettacolo indimenticabile. Da non perdere.

Da una produzione della Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini di Napoli, in scena fino al 19 aprile.



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