“Zio Vanja” di Konchalovsky, un inno alla vita

Al Mercadante per il Napoli Teatro Festival Italia
Servizio di Andrea Fiorillo

Napoli - Succede che si avrebbe voglia di restare su quella poltroncina ancora un po’, ed è raro, ma accade. E succede anche che non si vorrebbe smettere di applaudire quando il Teatro si fa Arte, Rito, Magia, quando realizza e soddisfa la sua essenza, quella più vera.

Zio Vanja con la regia di Andrei Konchalovsky ha provocato tutto questo: una rappresentazione strepitosa messa in scena al Teatro Mercadante giovedì 12 giugno, per il Napoli Teatro Festival Italia.

Uno spettacolo che non ha affatto deluso le promesse e le aspettative, ma che ha straordinariamente appassionato un pubblico estasiato dalla leggerezza con cui Cechov veniva "raccontato".

Konchalovsky, perfetto interprete dell'indolenza, della pigrizia e della mediocrità quotidiana su cui il testo si regge, riesce a rendere il tutto così fruibile, nonostante la lingua originale, che la leggerezza e l'ironia diventano strumenti mediante i quali i personaggi si sviluppano ed interagiscono.

In una tenuta di campagna, i ritmi quotidiani monotoni di zio Vanja e della sua nipote Sonja sono turbati dallarrivo dellillustre accademico Serebrijakov e della sua bellissima seconda moglie Elena, e lintreccio del l’intero dramma verte e si solidifica, nellemergere dellinsoddisfazione, della sofferenza e della sopportazione dei protagonisti, sui vani tentativi di cambiamento delle proprie esistenze.

Concentrato sui comportamenti attraverso cui ogni personaggio si esprime, il regista mette in risalto come Cechov renda la loro stessa noia interessante: sono solo uomini, messi di fronte al loro destino, in lotta con la loro umanità. Konchalovsky stesso afferma che "è facile volere bene agli eroi di talento che non sono prostrati dal dolore o dalla vita. È difficile volere bene ai filistei mediocri, incapaci di un atto eroico. Cechov vuole bene a questa gente, perché sa che anche essa morirà”.

Queste umanità si muovono su una pedana centrale che diventa il nido domestico, luogo di verità, di menzogna, di riparo ma anche di scontro, un luogo che si fa fulcro, ring sul quale le umanità dei personaggi si mettono a nudo, ed oltre il quale si può restare a guardare, ad osservare, aspettare che sia il proprio turno, perché coloro che “escono di scena” restano ai bordi, quasi a farsi testimoni delle altrui debolezze, che poi sono le proprie, nelle quali ci si riconosce, e dalle quali si sente la spinta di lanciarsi “in scena”, perché cosa sarebbe la vita se non provassimo almeno a viverla?

E tutto ciò diventa ritmo, "sinfonia di vita", come afferma Konchalovsky " in cui anche le pause diventano fondamentali, pause che in Cechov sono più importanti delle parole stesse”.

Pause e parole che vivono magnificamente negli attori di questa compagnia, abili fino in fondo a donare la grandezza dell’opera cechoviana, facendo innamorare lo spettatore nonostante i suoni siano a molti sconosciuti, appartenenti ad altre storie, ad altri luoghi, ma che restano, pur sempre, sinfonia di noi. E si smette di pensare al significato, perché si finisce di parlare al cuore delle cose, della vita.

 

 

©RIPRODUZIONE RISERVATA
 
 
 
 

Commenti