LE FUNAMBOLE ispirato ad un racconto di Andrea Camilleri adattamento e regia di Rosario Sparno

Al Piccolo  BELLINI  Napoli dal 9 al 14  gennaio  2018



Servizio di Rita Felerico

 
Napoli - Il  suono del mare, la musicalità della ‘ lingua ‘ siciliana, la trama sottile, eterea di cui è intessuta la bellissima sirena adagiata sul palcoscenico, quasi al centro della scena, scatenano fin dall’inizio della rappresentazione un antico bisogno di fascinazione, quel  trepido desiderio di relazione nell’attesa  di ricevere - da chi narra ‘la storia’ a sa, da saggio - le chiavi per capire, vivere e sopravvivere. Cosa è rimasto dentro di noi di quel mondo ancestrale, di quegli archetipi di cui si ha breve cognizione fra i banchi di scuola o da una tradizione culturale e antropica che sta perdendosi con le fotografie color seppia di famiglia? Per ritrovarlo e ritrovarci, abbiamo direi quasi la necessità di tornare ad una cultura orale, al racconto mitico di gesta e pensieri.  Le Funambole, ispirato al testo Maruzza Musumeci  di Andrea Camilleri, trae tutta la simbologia di cui è pregno ‘lo cunto’ dell’autore siciliano per rendersi  proposta  di teatro narrante, costruito sulla complicità dei due protagonisti, bravissimi e  perfettamente aderenti all’identità dei personaggi. Una regia meno distratta avrebbe fatto risaltare di più,  con pochi accorgimenti e senza nulla togliere all’ essenzialità della messa in scena, quel “vedere cose affatate” da parte dei protagonisti, Gnazio Manisco, pescatore che teme il mare, interpretato dallo stesso  Rosario Sparno , e Antonella Romano, di volta in volta gna’Pina o Maruzza Musumeci o nonna Menica o incarnazione di più parti femminili, così come è giusto che sia, se si  vuole rispecchiare anche il lato stregonesco e magico del femminile. Del racconto, dal quale si è realizzata una lettura in musica curata da Rocco Mortelliti e Paola Ghigo nel 2013 e una trasposizione teatrale di Pietro Montandon per la regia di Daniela Ardini, lo sguardo napoletano di Rosario Sparno  coglie immagini e suggestioni che come una trama legano e tessono  una tela fra Napoli e contrada Ninfa, ‘na speci di punta di terra che s’infilava dintra  al mari. Quella trama di cui è fatta la Sirena, le figure che galleggiano sulla scena, e quella che intreccia in un lavoro senza riposo  Antonella Romano nel mentre ‘cunta’ e recita. Sono tutte sue istallazioni, forgiate con il fil di ferro, frutto di un minuzioso lavoro che ricorda la fatica di Penelope, uno dei tanti miti mediterranei, come le Sirene che ammaliano Ulisse, come quella terra galleggiante chiamata Ninfa, sulla quale possono accadere cose di terra e cose di mare e dove l’amore è ragionevolmente leggero, come un filo di paglia, e pesante, come un filo di ferro.  Le radici non si spezzano mai, semmai ritornano, si riprendono, si riallacciano alla ricerca di una identità che seppure sappiamo non esistere come assoluta sicurezza è importante riconoscimento per parlarci e parlare, quindi narrare. Non a caso le prime battute sono una disquisizione sulla data degli avvenimenti: quando sono accaduti? Erano gli anni di fine ottocento? Era l’inizio del ‘900? Era il 1930? Le Funambole sono in bilico, “gli accadimenti” sono in bilico, si avvicina l’imprevedibile, il terremoto che sconvolge fuori e dentro la vita, le esistenze….ha importanza il tempo? Ascoltiamo i miti.

installazioni Antonella Romano
costumi  Alessandra Gaudioso
luci Riccardo Cominotto
progetto Bottega Bombardini
produzione Casa del Contemporaneo – centro produzione teatrale
collaborazione  Compagnia Lunaria Teatro

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