IL RISCATTO CHE A NAPOLI SI CHIAMAVA DIEGO

DIEGO - Non sarò mai un uomo comune di Aniello Mallardo
Servizio di Andrea Fiorillo

Napoli - Dal 20 al 23 e dal 27 al 30 marzo 2014 è in scena al Piccolo Bellini di Napoli, “Diego – Non sarò mai un uomo comune” con Maddalena Stornaiuolo e Luigi Credendino, per la regia del giovane Aniello Mallardo, artefice anche del progetto drammaturgico.

Partendo dal racconto di una semplice ed intensa storia d’amore tra due giovani napoletani che si rincontrano per caso ad una festa, Mallardo scandaglia attentamente le dinamiche che caratterizzavano la Napoli degli anni ’80, uscita da un infausto terremoto e vittima tutti i giorni di sé stessa e dei problemi che la dilaniavano, una terra assuefatta, narcotizzata dal calcio, dove troppo facilmente si erano dimenticate le occasioni mancate del dopo-sisma e dove forse non si sapeva nemmeno che l’eroina in pochi anni causava migliaia di morti.

In scena si racconta una storia come tante, che descrive un periodo ben definito contrassegnato da una figura costante nella vita degli abitanti di Partenope: Diego Armando Maradona. Lui, tatuaggio sulla pelle dei Napoletani, icona delle possibilità che la vita può dare anche se vieni da molto in basso, diventa modello, idolo, leggenda, ma anche “imprecazione” sulla bocca del protagonista, compagno del quotidiano e delle esperienze che i giovani attori fanno in scena.

Tutto fortemente connesso al dramma del vivere quotidiano, alle tragedie che sconvolgono la città ed il mondo, pur sempre viste, lette, percepite, amate, odiate attraverso un pallone.

E sono cinque i “mitici” Super Santon in scena, unici oggetti che dettano i ritmi e le evoluzioni della storia. Questi palloni sono il mondo di Lello e Tonia, con i quali i bravissimi attori interagiscono utilizzando un linguaggio semplice e grottesco, muovendosi all’interno di una società "ipercalcistizzata", in una realtà fatta di paura, angoscia, difficoltà, sofferenza, morte, ma dove il calcio e Maradona rappresentano una possibilità di riscatto. Un riscatto che però resta a latere fin quando a scatenarlo non è un processo di responsabilizzazione di se stessi rispetto al mito, rispetto alla vita, che va riempita delle proprie cose, dei propri affetti, dei propri sogni, e non di quelli degli altri.

Ed il Teatro di Mallardo restituisce proprio questa poesia, strumento necessario a farci destare dall’apatia del troppo comune lasciarsi vivere, raccontando una storia che ha trent’anni ma che ha ancora troppe similitudini con il presente.

Lo spettacolo prodotto da Vodisca Teatro e Libera Scena Ensemble è stato realizzato attraverso un processo di crowdfunding che ha visto la partecipazione di oltre 250 persone, che preventivamente hanno acquistato a mesi di distanza dal debutto, il biglietto dello spettacolo per sostenere il lavoro di una giovane compagnia di periferia. L'intero ricavato, inoltre, sarà utilizzato per la realizzazione di una Fattoria Didattica per bambini disabili a Chiaiano.

 

24 marzo 2014

 

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