GIOVANI COMPAGNIE TEATRALI IN TEMPO DI CORONAVIRUS

Incontro (telefonico del 21 aprile 2020) con   Piccola Città Teatro (Mario Autore, Anna Bocchino, Viola Forestiero, Ettore Nigro) 


Servizio di Rita Felerico

Napoli – Entusiasti, nonostante la pandemia, gli artisti /attori di Piccola Città Teatro, un gruppo definito in questa formazione dal gennaio 2020, ma sulla scena dal 2018  come compagnia ministeriale Under35, un elemento che non costituisce un paletto agli obiettivi che fin dall’inizio si è posto, bensì uno stimolo per perseguirli con maggiore grinta. “Il nostro è un lavoro di gruppo – afferma Mario -  pur mantenendo ognuno di noi una personale cifra e autonomia artistica. Il nostro obiettivo è produrre e divulgare spettacoli, attraversando l’esperienza di questa dimensione ministeriale, che consideriamo come punto certo di partenza, dal quale si sviluppa il nostro dialogo di confronto fra noi e con la realtà che ci circonda, svincolati da meccanismi produttivi vincolanti”. Non è un caso, infatti, il nome intorno al quale ruota la denominazione del gruppo, “città”, luogo/valore riscoperto soprattutto come spazio di interazione della comunità e di comunità. “La nostra finalità prima non è il guadagno per il guadagno - continua Mario – ma investire in pratica culturale”.

Tutti loro di Piccola Città Teatro Mario, Anna, Ettore e Viola concordano e sostengono – riferendosi a ciò che si sta vivendo in tempo di coronavirus - che nel ‘fare teatro’, nella ‘pratica teatrale’ non si può prescindere dalla presenza del pubblico e degli attori. Anche una semplice lettura via skype o in streaming non possiede la stessa carica di quella sperimentata e recitata ‘dal vivo’; scompare la teatralità, nel teatro – diversamente dalla musica – non si può riprodurre l’esperienza teatrale nella sua più intima realtà, se non si vive a pieno il rapporto con il pubblico. “L’occhio del pubblico è diverso nel rapporto reale, in streaming qualcuno decide cosa deve guardare, nella realtà dello spettacolo non è così  - afferma Ettore - il teatro è aggregazione e l’attore modifica il suo sentire in base a quello che percepisce giungere dalla platea, e di questa alchimia  non si può fare a meno, di questa ‘disciplina’ che accomuna spettatore e attore non si può fare a meno. Credo quindi che quello che si realizza tecnologicamente per il teatro è una ‘falsa idea’ di spettacolo, di diretta. Penso a chi guarda nella sua stanza in solitudine uno spettacolo dinanzi ad un video, anche la voce dell’attore smarrisce la sua densità interpretativa ”.

Ci sono delle positività in questa situazione?  Prima della pandemia i tempi erano più assoggettati – sottolinea Viola – a dei ritmi pressanti; personalmente ho potuto pensare concretamente alla regia di un mio progetto, un testo, “L’ultimo vestito”, che ho affidato alla penna di Anna Marchitelli ispirato alla vita di Krizia”, un testo per il quale ho chiesto la collaborazione di Carolina Rosi”.  Abbiamo avuto il tempo di portare a termine delle incombenze di ordine pratico che sarebbero rimaste sospese – aggiunge Anna – stiamo lavorando con più calma ai prossimi progetti chiedendoci ancora di più il senso artistico che avranno dopo questo periodo. A malincuore si sono dovute fermare le aspettative, il debutto del nostro ‘Don Giovanni’, del quale abbiamo dovuto interrompere il montaggio; così ci siamo proiettati su cosa preparare per il dopo pandemia e stiamo puntualizzando il Manifesto #Restaurarte. Cosa fare dopo questa fase?”. E qui il dialogo si accende di entusiasmo, commenti sui decreti, sulla posizione dell’Agis, sulla sopravvivenza delle compagnie. Non si può lavorare con le mascherine, con una sensazione di paura non spenta, e fino a quando ci sarà ‘distanziamento sociale?’ Come essere promotori di lavoro teatrale/culturale?. Quale l’idea fondamentale del Manifesto? La realtà teatrale – non solo napoletana- si basa sul lavoro e l’esperienza di micro associazioni, piccole realtà che operano ad ogni livello della società, non sempre sotto i riflettori. Nelle scuole, nelle carceri, nei garage adibiti a sala, nei laboratori.

Ma sono queste realtà che lontano dagli stereotipi, in vari modi, garantiscono la sopravvivenza del ‘discorso teatrale e della cultura teatrale’. E la cultura, intesa a 360gradi, aprirà i battenti alla fine del contagio. Le ultime battute dell’incontro si sono vivacemente succedute e si sono intrecciate le voci dei protagonisti di quella che si può dire una avvincente avventura.  Le scrivo in corsivo senza specificare, perché è voce all’unisono. “Con il Manifesto desideriamo coinvolgere il pubblico e tutto il mondo che ruota intorno al teatro, tutte le figure professionali che ne garantiscono la vita, dagli scenografi ai macchinisti, dalla sartoria alle mascherine. Occorre sollevare il problema di un giusto investimento dei fondi pubblici in favore delle maestranze e degli attori. Il privato? Dovrebbe dirigere attenzione e investimenti per un teatro e rassegne ‘di quartiere’, promuovere eventi nei cortili nell’ottica di una condivisione di un nuovo umanesimo cittadino. Condividiamo l’esperienza del volontariato, che molto può insegnare su questo. Infine, è necessario imporre la promozione della ricerca e dare voce alle voci meno ascoltate”. Chiamati a racchiudere con una frase l’esperienza del coronavirus, così si sono congedati, Ettore: ” Si ha bisogno di sincerità e autenticità; la pandemia smaschera le persone, sarà difficile prendersi in giro dopo...ne vedremo delle belle!”; Viola : “ Faccio mia una frase di Francesco Rosi pronunciata quando volevano censurare i suoi film, ‘ Noi andiamo avanti’ “; Mario:  La pandemia insegna a tutti i livelli, ci ha dato materiale per una riflessione culturale proiettata verso la positività”; Anna : “Se mi ha angosciato la costrizione dello stare ferma, penso ora che dopo non sarà necessario correre, anche artisticamente, essere meno compulsivi e abbracciare con il teatro le grandi tematiche dell’ambiente, della sostenibilità, una ‘letteratura’ di unione e condivisione”.



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