“DESIDERI MORTALI” oratorio profano per Giuseppe Tomasi di Lampedusa testo e regia Ruggero Cappuccio

Al Teatro San Ferdinando -  Napoli, dal 24 gennaio al 4 febbraio 2018


Servizio di   Rita Felerico

 
Napoli - Bellissimi i costumi e le luci e le suggestioni visive, colorate e ben calibrate, proiettate nello spazio del palcoscenico capaci - insieme alla musica in plein air, di un pianoforte e di diversi strumenti a percussione - di rendere accogliente e morbido, quasi un utero materno, le assi di legno sulle quali si muovono le nove figure femminili e i due interpreti maschili, scambiandosi ruoli, battute e gesti come simboli e immagini di un altrove. Torna al San Ferdinando Ruggero Cappuccio – reduce dai successi dell’ultima edizione del Napoli Teatro Festival -  con Desideri Mortali - oratorio profano per Giuseppe Tomasi di Lampedusa, specchio onirico di un immaginario nel quale si confonde nella narrazione poetica tempo cronologico e caos dell’inconscio. Il pathos della trama parte proprio dalla parola ‘desiderio’, quello a cui aspira un vivente e quello che paradossalmente non abbandona neppure le anime dei morti, le quali continuano a soffrire per assenze, mancanze, dolori. Cosa separa la vita dalla morte? Quanto la morte è presente nella vita e viceversa? L’oratorio profano dedicato al principe di Salina, il cui scritto più importante - Il Gattopardo - venne in luce proprio dopo la sua morte, si dipana così in monologhi e scene che ben concretizzano e danno forma a quei ricordi lontani ma formativi e fortemente impressi nella memoria, ma che una regia più attenta avrebbe reso più trama e più coesi, contestualizzando meglio anche i richiami politici e sociologici. La Sicilia e Napoli sono infatti nell’intento dell’autore unite da una lingua (che nasce dal francese, dallo spagnolo e dalla cadenza greca e araba), dalla storia del Regno delle due Sicilie, da una similitudine geologica (il Vesuvio e l’Etna) e antropologica che accomuna i ritmi di vita, la pigrizia, la tolleranza, la noncuranza verso la messa in atto di una responsabile libertà. Ci si chiede alla fine dello spettacolo, dopo aver ‘partecipato’ del poetico, ‘gattopardesco’ dolore che l’autore anatomizza, quale sia il fil rouge o se l’intento non sia stato proprio quello di frammentare, per dire di un presente ancora passato, non decifrabile e per certi versi irrimediabilmente proiettato verso l’immobilismo.  La lingua – segno sonoro che caratterizza anche i richiami ironici e figurativi (vedi Totò o il bagherino) all’interno del testo – resta la vera protagonista. Prima attrice di un teatro / percorso intimo dentro cui immergersi, parole nelle quali gli attori, troppo spesso ingabbiati nei movimenti, si aggirano e si mescolano, dando vita a individuali gemme di bravura. Spiccano le prove di Claudio Di Palma, Ciro Damiano, Nadia Baldi, Gea Martire e di Luca Urciuolo al piano e Gianluca Scorziello alle percussioni, che rendono il linguaggio musicale un tutt’uno con le parole e le emozioni del testo.

con Claudio Di Palma, Ciro Damiano, Gea Martire,  Marina Sorrenti, Nadia Baldi, Antonella Ippolito, Ilenia Maccarrone, Rossella Pugliese, Simona Fredella, Martina Carpino, Piera Russo
e Luca Urciuolo (piano), Gianluca Scorziello (percussioni)
scene Nicola Rubertelli
costumi Carlo Poggioli
immagini
Ciro Pellegrino
musiche
 Marco Betta, Luca Urciuolo, Gianluca Scorziello
aiuto regia e disegno luci Nadia Baldi
assistente alle scene Fabio Marroncelli
assistente ai costumi Simona Fraterno
direttore di scena Errico Quagliozzi
datore luci Angelo Grieco
elettricista Pasquale Piccolo
macchinista Alessio Cusitore
foto di scena Marco Ghidelli
produzione Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale

 
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