“DuePenelopeUlisse” di Pino Carbone e Anna Carla Broegg, regia Pino Carbone. Produzione Ente Teatro Cronaca in collaborazione con AreaBroCa, l’Asilo, Chiaradanza

Presentato al Teatro Piccolo Bellini, dal 31 ottobre al 5 novembre

Servizio di Maddalena Porcelli

Napoli- Il nuovo spettacolo “DuePenelopeUlisse”, presentato al Teatro Piccolo Bellini, in concomitanza con la messa  in scena di un altro spettacolo di Pino Carbone, “L’Armata dei sonnambuli”, nella sala del Nuovo Teatro Nuovo,  rientra in  un progetto di ricerca che il regista porta avanti da tempo. Sono diversi  gli elementi che accomunano i due lavori, ma sicuramente il fulcro essenziale della sua ricerca  va rintracciato  in quella necessità che è al contempo artistica e politica, di sperimentazione di nuovi linguaggi teatrali in grado di esprimere urgenze umane e sociali.  Innanzitutto ci risulta evidente l’intento di decostruzione dei miti fondanti della nostra cultura che in entrambi i casi, la Rivoluzione francese con “L’Armata dei sonnambuli” e l’Odissea di “DuePenelopeUlisse”, vengono indagati attraverso la loro riduzione a una sfera soggettiva, intima, dei suoi protagonisti; una riduzione che, vedremo, risulterà solo apparente. Nel primo, la Storia sarà esplorata attraverso le storie personali dei quattro protagonisti principali, che s’immergeranno nel flusso degli eventi reali per la necessità di essere socializzate; nel secondo, il mito di Ulisse sarà incarnato e diseroicizzato nell’incontro-scontro, dopo anni di lontananza e di attesa, con una Penelope dei nostri tempi. Una suggestione che arriva al regista attraverso la rievocazione di Marina Abramovic, la quale nel 2010, al Moma di New York per la retrospettiva ”The Artist is present”, s’impegnò in una performance che consisteva nel trascorrere molte ore seduta a un tavolo per accogliere chiunque volesse sedersi di fronte a lei in un contatto visivo e silenzioso. La scena cambiò radicalmente quando Ulay, l’uomo che non vedeva da trent’anni e con il quale aveva avuto una intensa relazione artistica e sentimentale,  occupò la sedia e cominciò a fissarla finché lei si abbandonò al pianto. La rappresentazione di Pino Carbone e di Anna Carla Broegg è stata concepita anch’essa in  modo che risulti imprevedibile il susseguirsi dei dialoghi. I due protagonisti, la stessa  Broegg e Giandomenico Cupaiuolo, entrambi eccellenti e dotati di grande forza espressiva, sono l’una di fronte all’altro, con il volto ancora coperto, sospinti al confronto eppure incapaci di contatto. Sarà il regista che, sul limitare del palco, chiederà ai due attori di scoprirsi e iniziare il confronto. Pino Carbone sceglie, coerentemente al suo stile, di essere voce fuori campo in una posizione di orizzontalità con gli attori, in un rapporto d’interscambio nel quale, a turno, si deciderà il susseguirsi delle battute. Una tecnica che risulta coinvolgente per il pubblico, chiamato in causa in uno spazio-tempo aperto e non preordinato. La scelta di musicare la trama narrativa con il melodramma di Claudio Monteverdi non è casuale: l’autore del “Ritorno di Ulisse in patria” fu un innovatore e sperimentatore di un nuovo linguaggio musicale e riuscì, attraverso l’introduzione delle sue arie semplici e leggere, a dare più spessore e pregnanza psicologica ai personaggi teatrali per i quali componeva. Farà da  tramite tra il mito e la sua dissoluzione. In quel mito, che ha attraversato l’indagine letteraria e filosofica fin dall’epoca classica, si sono concentrate tutte quelle “virtù” imposte da una cultura patriarcale dominante: la passione militare, la volontà di comando, l’astuzia politica e diplomatica, l’arte dell’affabulazione, la capacità di persuasione, il senso di superiorità, l’egocentrismo, il maschilismo. In sintesi, tutto ciò a cui ogni maschio ambisce. Ma la nostra Penelope non è più in grado di riconoscerlo. Questa donna, conscia della sua forza di volontà, rivendica l’attribuzione  di valore  nella scelta di relazione di cura del figlio, a cui il padre ha abdicato, e saprà tacitare un Ulisse, che dopo l’iniziale tentativo, tutto narcisistico, di affermazione dei suoi cliché, ci apparirà goffo, confuso, disorientato, tanto più se tenterà di ostentare una pretesa di riconoscimento al valore e alla gloria delle sue gesta. Così quell’uomo “coraggioso”, votato all’avventura - l’uomo dall’agile mente e dal proteiforme ingegno, messo a nudo, si disfà in un mare d’incertezze e di frustrazioni. Lo spettacolo si chiude con un ribaltamento di ruoli: sarà Penelope a sedurlo, dimostrandogli quella forza che le permette di esternare tutte le sue passioni, che rivendica il diritto alla sua rabbia e alla sua fragilità, che scrive piuttosto che tessere una tela, per documentare la sua odissea, la sua dignità, la sua fierezza. Siamo di fronte allo scardinamento della dicotomia donna-natura e uomo-cultura, alla quale si opporrà l’esigenza di una cultura del rispetto, che rivendicherà la necessità di un rapporto con il reale non limitabile all’analisi razionale, di un sentire troppo a lungo celato e/o negato. Anche se in modo diverso, perché agita dall’interno di una relazione dialogica intima, ci ricorda Marie Nozière, la sarta del popolo, che esige di portare le sue istanze all’interno della Convenzione. Entrambe sono il grido di ogni donna, per tutte le donne.
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