Putéca Celidònia

Una bottega di sorprese e di bellezza

di Rita Felerico

Il 6 dicembre scorso il Teatro Mercadante ha ospitato la giuria del   Premio ANCT (Associazione Nazionale dei Critici di Teatro); tra i premiati la giovane compagnia Putèca Celidònia. Questa la motivazione, letta da Giulio Baffi nella penombra di un palco del teatro, ahimè, vuoto: “A Putèca Celidònia, compagnia teatrale creata da sei giovani attori formati alla Scuola del Teatro Stabile di Napoli, gruppo compatto radicato nel territorio urbano del popolare Quartiere Sanità di Napoli ed esempio nazionale di originali progetti di spettacolo”. Un riconoscimento prestigioso: in poche righe sintetizza la mission e l’attività di questa giovane compagnia che, in poco tempo, ha saputo realizzare con passione, intuizione e serio impegno professionale progetti di spessore, caratterizzati da ampio respiro drammaturgico, attoriale e formativo, mettendo in “palco” modelli di azione nati sì in seno ad uno specifico territorio, ma riproducibili in altre realtà sociali.  L’originalità ha il suo seme nella capacità di ascolto e di confronto : porgere l’orecchio alle esigenze materiali e  spirituali dello spazio abitativo, saper dialogare con i diversi soggetti  sociali e culturali,  porre attenzione alle condizioni dello stesso abitare, che non ha nel suo significato solo l’occupazione e l’uso di luoghi , ma capacità di crescere e identificarsi con i propri spazi di vita da parte di chi abita amando, lavorando, vivendo , scrigno anche di un substrato di tradizioni e radici folkloriche del quale la ‘sapienza ‘ popolare  è custode.

La pandemia ha impedito la realizzazione di vari spettacoli sia al Mercadante che presso la Sala Assoli - afferma con una vena di malinconia Emanuele D’Errico, regista e drammaturgo della compagnia - ma non ci siamo fermati e abbiamo proseguito nelle nostre attività di produzione e formazione, attività nelle quali desideriamo procedere anche nel prossimo futuro. I nostri lavori partono da una necessità espressa dal territorio, diventano laboratori e poi produzioni. L’obiettivo non è solo quello di realizzare lo spettacolo, ciò che mettiamo in atto non è solo logica di produzione e basta. Per questo crediamo molto nell’ autonomia del nostro lavoro”. Ne sono convinti anche gli altri componenti della compagnia: Clara Bocchino, Teresa Raiano, Umberto Salvato, Marialuisa Bosso, Dario Rea, Raimonda Maraviglia. Non a caso tutti loro sono parte attiva all’interno di C.Re.S.Co (coordinamento realtà della scena contemporanea) presente con il suo progetto dal 2017 nel panorama italiano, in vari settori, per dare corpo ad una forza creativa innovativa, nel rispetto di un codice etico e professionale che abbraccia quindi non solo il linguaggio teatrale.

Un approccio da cittadini creativi quello dei giovani di Putèca, verso una realtà gestionale istituzionale che spesso non ascolta o non riesce a vedere ciò che accade. “Anche le nostre prossime produzioni nasceranno da un dialogo con il territorio – così rafforza l’idea Emanuele – anzi spero che l’esperienza della pandemia produca un cambiamento significativo sia nell’uso delle tecnologie nelle arti in genere che all’interno della drammaturgia”.  L’ esperienza nel Rione Sanità, con Opportunity, in luoghi confiscati alla camorra che  ha dato vita al festival ‘A voce d’’o vico  ( il teatro realizzato dai balconi delle case del vicolo Montesilvano, molto prima della pandemia) , alla nascita del  vicolo della cultura,  di un book sharing , di una biblioteca,  di una scuola di teatro – gratuita – per i bimbi del rione, ha avuto come risultato la produzione dello spettacolo Non c’è differenza tra me e il mondo  che Campania dei Festival ha portato sul palcoscenico del Mercadante. 

Una drammaturgia nata dalla ‘relazione dialogante’ fra Putèca e i bimbi della Sanità. Diversa, ma avvolta dallo stesso spirito di condivisione, quella sorta con i ragazzi di Nisida, dove gli attori di Putèca hanno impiantato una scuola di teatro. E ancora diversa da quella realizzata con gli immigrati dello SPRAR di Caserta (fra i 18 / 40 anni) dell’ex canapificio, nell’ambito del progetto Quartieri di vita del Napoli Teatro Festival. Arricchimento umano e professionale continuo, dunque, che nutre sia chi produce teatro sia chi del teatro è spettatore o fruitore, una relazione in cui nessun protagonista è passivo; anzi, rinnova una delle più grandi magie del teatro che è rappresentazione di vita, capacità di rappresentare come superare i limiti stessi della vita, capacità di immedesimazione e liberazione. “T’appò Munno (tutto a posto mondo?) – prosegue Emanuele - è il titolo dello spettacolo in preparazione a Nisida, un percorso teatrale e umano che parte dalle necessità dei ragazzi, dalle loro esigenze, dalla loro natura. Non facciamo altro che stimolare la loro fantasia e immaginazione e dirigerla verso il desiderio di un nuovo senso di libertà, altro e diverso da quello che loro intendono comunemente; insegnarli che in un teatro tutto è possibile, con rispetto, gioco e ascolto, ma soprattutto se lo si fa insieme”.  Leggiamo in anteprima alcune battute del testo: “Omu’, me siente? ma t’appò? ma comme te vene  ‘e sta accussì? Ma comme faje a subì senza ‘e t’e ribellà, senza ‘e t’e fa rispettà…tu, proprio tu …..tu ca sì nato da nu centinaro  ‘e amanti silenziosi…me siente munno? Ma che fine e fatto? Addò so’ fernute chille amanti? Addò è fernuto chell’ammore “.

Spiega ancora Emanuele, “Invece Komorebi - il termine è giapponese e descrive il fascio di luce che attraversa le foglie dell’albero e non esiste un termine dal simile significato in italiano – è il titolo dello spettacolo realizzato a Caserta. È un viaggio dentro diverse culture e siamo andati in cerca della possibilità di trasformare il concetto di ‘diverso’ in ‘unico’ attraverso il miracolo del linguaggio, unico come unico è ognuno a prescindere dalla propria identità, eccezionale e inimitabile per quello che è. La partecipazione dei ragazzi - perlopiù di origine africana- è stata un esempio di rispetto e dedizione. Hanno lavorato in modo eccezionale, fidandosi e affidandosi a noi. Per questo possiamo solo dirgli grazie “. Da Komorebi: “Ma quante cose possono essere traducibili? Quante volte diventa incomprensibile anche un atteggiamento di un mio fratello. Un gesto di un’amica, la vecchiaia o la malattia di un padre? Se dicessimo, invece, che certe volte c’è più comunicazione tra due lingue sconosciute l’una all’altra che tra due familiari? “

L’ originalità di Putèca era stata già riconosciuta dal premio nazionale giovani Realtà del Teatro promosso dalla Civica Accademia d’Arte di Udine con il testo Dall’altra parte. 2+2=? , spettacolo che ha debuttato durante l’ultimo Napoli Teatro Festival;  e non passi inosservato il ruolo rivestito da Emanuele all’interno della giuria di Nuove Sensibilità , dove sono stati letti  94 testi di giovani autori , desiderosi di raccontare, raccontarsi  e liberarsi attraverso la scrittura, osserva Emanuele, il quale  in questo – si spera- stralcio pandemico approfondirà lo studio  della drammaturgia,  della regia , dei meccanismi burocratici, per migliorare, evitare errori e proporre sempre con più determinazione. Un lavoro ancora in itinere lo sta conducendo sul testo di Giorni felici di Beckett, versione napoletana, ma molti sono gli inviti rivolti agli attori di Putèca per partecipare a festival estivi, per collaborare con altre giovani compagnie, anche fuori del nostro territorio.  Un fiore all’occhiello ‘ bottega Celidònia’ nella storia teatrale della nostra città; il loro ‘fare’ mi riporta alla mente le botteghe rinascimentali frequentate dai grandi artisti, dove c’era il fervore del ‘lavoro’, dove si manipolava con i giusti strumenti la terra, l’argilla, per dare forma e vita a quei piccoli e grandi capolavori dai quali tutti apprendevano e si nutrivano.

 


 









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